Le tasse dell'Ulivo e il finestrone

PUBBLICATO su LaPadania - 19/05/1998

Da Roma arrivano ogni giorno delle sorprese. Quasi sempre  le "sorprese" sono delle nuove tasse . Qualche volta ci dicono chiaramente cosa é aumentato e cosa  dobbiamo pagare, ma sempre più spesso le nuove tasse provano a nasconderle. Insomma, adesso ci sono anche le tasse travestite, come quella del "sanitometro".

 L'ultima sorpresa arrivata da Roma  é quella del "bustone". Per fare la dichiarazione dei redditi dovremo usare una busta prevista da un decreto del ministero delle finanze romano . Un decreto , tanto per cambiare, con un titolo veramente chilometrico. Queste sono le prime tre righe del titolo :  "Approvazione con le relative istruzioni e busta, del modello UNICO di dichiarazione che le persone fisiche devono presentare nell'anno 1998 ai fini delle imposte sui redditi, dell'imposta sul valore aggiunto, nonché..." .

Eccetera : pensate che solo il titolo del decreto continua per altre dodici righe . Dodici, non scherzo : se non ci credete dovete solo comperare il supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 77 del 2 Aprile 1998. Però questo supplemento costa ben 30.000 lire. Dunque vi conviene credermi sulla parola. Risparmiate  e rinunciate tranquillamente  a leggere le trecento dieci pagine di istruzioni e semplificazioni.

A pagina trecento undici c'é il fac-simile della busta che deve essere usata per la dichiarazione dei redditi. C'é l'ho qui, in mano, con il suo bello stemma della Repubblica Italiana e con il timbrino che mi garantisce che é stata stampata dall'I.P.Z.S. l'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato. Un nome, una garanzia.

Questo bel bustone é largo ventitré  centimetri ed é  lungo trentadue  e mezzo. Voi ci mettete dentro la vostra dichiarazione dei redditi, chiudete la busta, che sul risvolto é dotata di tutta la colla necessaria per sigillarla bene in modo da  mettere al sicuro da occhi indiscreti i vostri dati. Gli date una bella leccata  e  la chiudete. Poi consegnate in banca oppure in posta la vostra dichiarazione dei redditi, ben chiusa nella busta del ministero delle finanze. Li, in banca oppure in posta, utilizzando il buco della  finestra centrale,  se ho capite bene metteranno  sulla vostra dichiarazione un numero di protocollo. Poi voi ve ne andate. E  , a parere di tutti gli esperti che ho sentito fino ad oggi, da quel momento  in poi tutte le persone a cui capiterà in mano la vostra busta chiusa potranno, in teoria, tirare fuori dal finestrone la vostra dichiarazione dei redditi, guardarla, fotocopiarla, oppure, se sono dei burloni, addirittura aggiungere o togliere qualcosa.

Già, perché il finestrone centrale é aperto. Non ha nessuna protezione. E siccome é largo sei centimetri e mezzo e lungo sedici e mezzo sembra che sia  veramente un gioco da ragazzi togliere e reinserire il contenuto del bustone. Non ci credete? Bé, vi assicuro che non ci credevo nemmeno io. Eppure sembra che le cose stiano veramente così. E qui devo ringraziare pubblicamente Michelangelo Anderlini che per primo si é accorto di questa follia durante la riunione mensile del gruppo "Milano che produce". A chi interessa : ci troviamo il primo lunedì di ogni mese in via Bellerio e cominciamo alle 21 esatte. Per partecipare basta avere delle idee, voglia di lavorare , e telefonare  prima al numero 02  66 211 296 per avvisare che ci sarete anche voi.

Il bello é che il 31 Dicembre 1996, l'ultimo giorno dell'anno, il Parlamento di Roma aveva approvato una legge intitolata "tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali". Insomma, la famosa legge sulla "privacy" . L'articolo 15 sembra scritto su misura per il "bustone con il finestrone  per le  tasse dell'Ulivo" . Il suo testo é questo : "I dati personali oggetto di trattamento devono essere custoditi e controllati, anche in relazione alle conoscenza acquisite in base al progresso tecnico, alla natura dei dati e alle specifiche caratteristiche del trattamento, in modo da ridurre al minimo, mediante l'adozione di idonee e preventive misure di sicurezza, i rischi di distruzione o perdita, anche accidentale, dei dati stessi,di accesso non autorizzato o di trattamento non consentito o non conforme alle finalità della raccolta".

Virginio Carnevali, e dopo di lui tanti altri, hanno spedito indignati ricorsi al "garante" per la protezione dei dati personali e  io, con Ballaman, Borghezio e Giorgetti ho presentato una interrogazione parlamentare urgente. Adesso speriamo che il  governo rimedi a questa "gaffe" senza spendere soldi dei contribuenti  e senza far perdere tempo a nessuno.

Però da Roma ogni tanto arriva anche qualche cosa di interessante. Per esempio é decisamente interessante il rapporto annuale  dell'ISTAT , l'Istituto Nazionale di Statistica,  sulla "situazione del paese nel 1997". Il rapporto é stato presentato alla fine della  settimana scorsa. Sarebbe meraviglioso  avere il tempo di leggerlo , ma leggerlo bene, tra le righe, perché le cose non sono mai come sembrano a prima vista.  Studiarlo , andare all'ISTAT (che é l'abbreviazione di Istituto Statistico Nazionale. Tra poco avremo l'ISTAP, Istituto Statistico Padano) per approfondire le cose più importanti, e poi spiegare  tutto  ai lettori de LaPadania. Ai cittadini informati e responsabili.

Esempio: in fondo al librone ci sono 65 pagine di tabelle e statistiche. Subito, all'inizio delle tabelle,  troviamo il dato delle unità di lavoro: nel 1997 sono state 22.203 mila. Meno dell'anno prima. Sotto a questo dato il rapporto dell'ISTAT  ci dice quante di queste unità di lavoro sono regolari. Il 77,4 per cento. Il rapporto non dice quante sono le unità di lavoro  irregolari, ma basta fare la differenza. Lasciamo perdere le virgole : cento meno settantasette fa ventitré. Signori, il ventitré per cento di quelli che lavorano fanno un lavoro non regolare. Non pagano tasse e non pagano contributi sociali. Più di uno ogni cinque. A me é venuta subita subito la curiosità di  vedere dove lavora in nero tutta questa gente, ma il rapporto dell'ISTAT non dà la composizione regionale del lavoro nero. Lo chiederemo e lo pubblicheremo per i lettori della Padania e per alcuni politici che sono sempre lì con la mano tesa a chiedere solidarietà per i loro elettori.  Per il momento vi possiamo dare la composizione del lavoro irregolare per tipo di attività : agricoltura, industria, eccetera. Sono i dati che vedete nella tabella 1.

Nella tabella 2 invece vedete l'orario settimanale abituale dei lavoratori dipendenti a tempo pieno. Nel Regno Unito  in media si lavora quasi il quattordici per cento in più che in Italia. Ma, guarda caso, nel Regno Unito c'é pochissima disoccupazione. L'Italia invece per la disoccupazione é  tra i primi posti in Europa. Più della Grecia, che non é stata considerata degna di aderire all'Unione Monetaria. E che ha meno disoccupati e meno debiti accumulati della Repubblica italiana. Ma c'é un'altra cosa importante. Il Regno Unito é lo Stato Europeo con il miglior rapporto tra i debiti accumulati e  il PIL. Questo significa che é lo Stato dove i cittadini rispettano di più i loro figli. Non dimenticate che la vera natura del debito pubblico non é altro che quella di tasse che pagheranno i nostri figli e che noi spendiamo  oggi, per  prepensionamenti e per altri interventi dello Stato sociale. Spese di cui noi godiamo e che vogliamo fare pagare alle generazioni future.  Questo é egoismo bello e buono. Italia e Belgio sono gli Stati con la settimana lavorativa più corta e con il peggior rapporto "debito/PIL" d'Europa. Dunque sono gli Stati più egoisti d'Europa. Con buona pace della solidarietà di cui si riempiono la bocca certi pretoni romani, tanti democristiani e tutta la sinistra. Quando si discute della legge sulle 35 ore , e più in generale quando si discute di politica,  bisognerebbe tener conto anche di questi  e di tantissimi altri dati, di cui il rapporto  ISTAT offre una inesauribile miniera.

 

Giancarlo Pagliarini