Ecco perché l'Europa ha paura della Padania
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PUBBLICATO su LaPadania - 31/03/1998
Tra pochi giorni sarà ufficialmente reso pubblico l’elenco degli Stati membri dell’Unione Europea che dal primo gennaio 1999 aderiranno anche all’Unione Monetaria ed utilizzeranno una moneta unica. Su questo argomento la Lega Nord ha ripetuto fino alla noia due cose.
Primo: “Se l’Italia verrà esclusa dall’Unione Monetaria, le aziende Padane dovranno fare i conti con tre svantaggi competitivi molto severi: maggior costo del denaro, maggior costo del lavoro e maggiori tasse”.
Secondo: “Se l’Italia aderirà all’Unione Monetaria, con questo stato centrale, con questa burocrazia, con questa spesa pubblica, con questa cultura di irresponsabilità diffusa e con questi livelli di tasse, per l’economia sarà una tragedia. Per la Padania e per il Mezzogiorno l’adesione all’Unione Monetaria con il paese in queste condizioni sarà peggiore dell’esclusione”. Il Regno Unito e la Danimarca hanno preso carta e penna e hanno scritto alla Commissione, a Bruxelles, comunicando la loro decisione di non aderire, per ora, all’Unione Monetaria. Cosa c’è di male? Non muore mica nessuno.
L’Italia invece no. L’Italia “deve” aderire subito. L’Italia “deve” entrare a tutti i costi. Ma non deve entrare come gli altri. No. L’Italia deve entrare “a testa alta”. Mica con la testa a posto, come la tengono tutte le persone normali. Testa alta, petto in fuori e mascella quadrata. Bisogna saper guardare al di là di queste ridicole dichiarazioni, di questo linguaggio del nuovo “serbo-nazionalismo-italiano”, come Francesco Speroni ha brillantemente ribattezzato i nuovi “adoratori del tricolore” romani, e capire in realtà cosa c’è sotto.
L’unica voce critica, molto lieve, è stata quella del Governatore della Banca d’Italia, che ha fatto due conti e ha detto che stare in Europa non sarà un paradiso ma un purgatorio.
Altro che purgatorio. Molto probabilmente sarà la fine per molte delle piccole e medie imprese ella Padania e per molti posti di lavoro. Cerchiamo di capire assieme quello che succederà. Succederà che nell’Unione Monetaria entreranno due economie molto diverse tra di loro.
Entrerà la Padania, che per ora è ancora forte e capace di competere in Europa e in tutto il mondo. Ed entrerà il Mezzogiorno, la cui economia invece è ancora molto debole, poco competitiva e soprattutto non autosufficiente.
Questo significa che le aziende della Padania dovranno continuare a mantenere i consumi e le pensioni del Mezzogiorno e l’inefficienza di uno Stato che ha tutte le intenzioni di continuare ad essere organizzato in modo irrazionale e centralista. Per convincersene basta leggere il testo del progetto di nuova Costituzione approvato dalla Commissione Bicamerale.
Per mandare a Roma, e da lì al Mezzogiorno, tutti questi soldi, le aziende della Padania dovranno continuare a pagare le tasse più alte d’Europa e dovranno continuare a finanziare il sistema pensionistico meno responsabile del mondo.
La pressione fiscale ufficiale in Italia è del 44,3% del Pil. Questa percentuale è in linea con Francia, Germania e con la media europea. Ma non dimentichiamo che l’Istat, nella stima del Pil, ha dovuto inserire una quota molto significativa di “economia sommersa”.
Ma quelli che lavorano in nero non pagano l’Iva. Non pagano le imposte dirette. E naturalmente non versano i contributi sociali.
Su questo argomento voglio ricordare che l’Unità di domenica 8 marzo ha pubblicato un articolo intitolato “Economia sommersa. Nel Sud 50% del reddito in nero”. E se lo dice l’Unità, de non è controllata da quei razzisti della Lega Nord, che “fanno schifo” all’onorevole Mussi, capogruppo del Pds a Montecitorio e gran gentleman, vuol dire che probabilmente la verità è ancora peggiore.
Ma non siamo qui per vedere chi evade e chi non evade. Il risultato è che la pressione fiscale vera che devono sopportare quelli che pagano le tasse non è del 44,3% ufficiale, ma è molto di più. In realtà arriva quasi al 57%. Dunque, oltre ad essere lo Stato più indebitato, più centralizzato e più corrotto d’Europa, l’Italia è sicuramente anche il paese con la maggiore pressione fiscale reale. Ecco perché molti Padani piangono quando sentono l’inno di Mameli. Ma non si tratta di commozione, ve lo assicuro.
Dopo che questa Italia unita sarà ammessa all’Unione Monetaria, le imprese della Padania opereranno dentro a un grande “mercato interno” nel quale i loro concorrenti Europei pagheranno meno tasse e dovranno sostenere un minor costo del lavoro. Questo vuole dire che nei prossimi anni i nostri concorrenti Europei avranno più risorse finanziarie a disposizione per fare investimenti per la ricerca e lo sviluppo, potranno costruire ed offrire nuovi prodotti, potranno usare nuovi materiali, nuovi processi produttivi e nuove tecnologie.
Con il risultato che molte delle nostre piccole e medie imprese dovranno cedere quote di mercato a concorrenti che non sono più bravi o più creativi di loro, ma che hanno la fortuna di lavorare in paesi che non li penalizzano come invece questa Italia penalizza gli imprenditori della Padania e quelli del Mezzogiorno.
Questo scenario di continua perdita di competitività delle nostre imprese è molto chiaro ai nostri partner Europei. Che sono nostri amici, che sono nostri concittadini Europei, ma che sono soprattutto nostri concorrenti.
E’ per questo motivo che l’Italia sarà ammessa all’Unione Monetaria anche se non rispetta per niente il parametro più importante del trattato di Maastricht, quello dei debiti accumulati, che oggi è oltre il doppio del massimo consentito.
Gli imprenditori Europei e i politici che li rappresentano nei vari Parlamenti hanno interesse a che la Padania non si separi dall’Italia. E che l’Italia unita aderisca all’Unione Monetaria, perché in questo modo le imprese Padane saranno concorrenti meno pericolosi per le imprese Europee. Questo è probabilmente il prezzo che il Governo Prodi ha cinicamente pagato per far accettare questa Italia unita nell’Unione Monetaria.
Per forza le nostre imprese saranno meno competitive: la partita non sarà giocata ad armi pari perché le imprese della Pania dovranno continuare a fare i conti con delle tasse e con un costo del lavoro superiori a quelli dei loro concorrenti dovranno continuare ad operare in un sistema-paese assolutamente inefficiente.
Penaste, per esempio, a quanti investimenti dovranno cancellare e quante commesse perderanno le nostre imprese in seguito alla legge sulle 35 ore lavorative.
Oppure, per fare un altro esempio, pensate ai danni che subiranno le nostre imprese in seguito alla recente legge sulle sanzioni tributarie.
Bene. Questa è la situazione. Aderendo all’Unione Monetaria Roma non potrà più decidere autonomamente l’ammontare di debito pubblico da emettere. Ci saranno dei vincoli molto forti. Sia ben chiaro: era ora che qualcuno aiutasse la Lega Nord a difendere le generazioni future dalla voracità romana. Scusate, ma perché uno che non è ancora nato deve pagare il Giubileo di Rutelli?
Adesso cerchiamo di immaginare quali saranno gli effetti della minore “sovranità di bilancio” del Parlamento di Roma e dei vincoli del piano di rientro del debito pubblico, se l’economia del Mezzogiorno continuerà a non essere autosufficiente.
Faccio un esempio, così ci capiamo meglio. Oggi l’Inps incassa dalla Sicilia circa 5.000 miliardi di contributi sociali all’anno. E oggi, secondo stime aggiornate, l’Inps versa ai pensionati Siciliani circa 14.000 miliardi all’anno.
I 9.000 miliardi di differenza l’Inps li incassa dallo Stato. Senza questo trasferimento l’Inps non sarebbe in grado di pagare le pensioni in Sicilia. E senza altri trasferimenti l’Inps non sarebbe in grado di pagare le pensioni nelle altre Regioni del Mezzogiorno.
Oggi lo Stato finanzia questi trasferimenti, le altre spese ed il pagamento degli interessi passivi sul debito pubblico, con l’emissione di nuovo debito e con le tasse.
In pratica si può dire che fino a oggi c’è stata una cincia “politica di redditi trasferiti dai nostri figli e dalle generazioni future al Mezzogiorno”.
Domani, dentro all’Unione Monetaria e vincolati ad un rigido piano di rientro del debito, questi trasferimenti potranno essere finanziati solo con le tasse. Questo significa che la pressione fiscale, che è già la più alta d’Europa, non diminuirà.
Anzi, senza la separazione consensuale della Padania dall’Italia, o senza il riconoscimento dei Parlamenti della Padania e di quello del Mezzogiorno, e in ogni caso senza che sia finalmente diffusa la cultura della responsabilità, io temo che le tasse aumenteranno ancora.
Le piccole e medie imprese Padane saranno schiacciate da una pressione fiscale contributiva insopportabili, e come risultato saranno ogni giorno meno competitive rispetto ai loro concorrenti localizzati in altri paesi membri dell’Unione Monetaria.
Adesso capite perché gli imprenditori Europei e i loro rappresentanti nei vari Parlamenti temono che la Padania si liberi dall’inefficienza dell’Italia. Sperano che questa Italia unita continui a chiedere e a cercare in tutti i modi, “costi quello che costi”, di aderire all’Unione Monetaria. Premono perché i tecnici di Bruxelles non raccomandino di bocciare la domanda e perché la Commissione la accetti indipendentemente dal rispetto del più importante parametro del Trattato di Maastricht.
Ma perdere competitività non significa solo perdere del fatturato e distribuire minori dividendi. Questo sarebbe il minore dei mali. Significa anche e soprattutto rischio di perdere posti di lavoro e rischio di crisi economica.
Questa considerazione non riguarda tutte le imprese. Già, perché le cooperative, per esempio, non saranno schiacciate da una pressione fiscale insopportabile. Per il semplice motivo che le cooperative possono differire legalmente il pagamento delle tasse.
E ci saranno anche alcune grandi imprese che daranno allo Stato centrale con una mano, ma con l’altra continueranno a ricevere aiuti, incentivi, rottamazioni ed altri benefici.
Ecco perché all’inizio ho detto che a me quello che sta succedendo non sembra per niente logico e che bisogna capire cosa c’è sotto. Una cosa è certa: quello che sta succedendo potrebbe distruggere l’economia Padana.
E in questo caso, chiediamoci: a Roma ci sono degli ingenui che hanno sbagliato conti e previsioni, oppure ci sono dei comunisti determinati e preparati che stanno realizzando un disegno che ha l’obiettivo di far diventare l’ultimo partito-Stato rimasto sempre di più il padrone il controllore dell’economia?
E chiediamoci anche come evitare che le nostre imprese prima o poi debbano chiudere per tasse o per mancanza di competitività.
Ecco, secondo me questo è lo scenario che ci aspetta se non ci saranno significativi cambiamenti, prima di tutto nelle coscienze di molti cittadini. Perché in Padania c’è ancora troppa gente che non si rende conto di quanto sia pesante lo sfruttamento di Roma ai danni della Padania.
C’è ancora troppa gente che sottoscrive titoli del debito pubblico senza rendersi conto che così presta ai “serboitaliani” i soldi che Roma usa per gli stipendi dei poliziotti che manganellano gli allevatori Padani e per gli stipendi dei magistrati che montano processi politici e scrivono sentenze che mi sembrano veramente in odore di razzismo.
E’ necessario che la gente capisca. Poi, quando in Padania i nazionalisti “serboitaliani” si troveranno soli ed isolati in terra straniera, allora cambierà anche la vita politica. E allora anche nelle aule di Montecitorio e di Palazzo Madama entreranno il pragmatismo, il coraggio e il senso di responsabilità necessari per approvare il patto di separazione consensuale tra la Padania e il resto d’Italia, oppure per riorganizzare il paese riconoscendo i Parlamenti della Padania e quello del Mezzogiorno, identificandone i poteri, le responsabilità ed il grado di indipendenza.
In questo modo si sostituirà la cultura della responsabilità alla inefficienza romana, e solo in questo modo l’ingresso nell’Unione Monetaria invece di generare perdita di competitività, crisi e disoccupazione, tutelerà le generazioni future e rappresenterà una concreta opportunità per i popoli della Padania e per quelli del Mezzogiorno.