Egoismo dei sindacati

PUBBLICATO su LaPadania - 29 AGOSTO 1999

“Il giorno del giudizio Cristo si darà ammalato/per non sputare in viso a chi si è rassegnato/e a chi mai si è ribellato”. Questa è una durissima strofa di una delle tante canzoni di un vecchio spettacolo di Dario Fo dell’inizio degli anni Settanta, intitolato “ci ragiono e ci canto”. A quei tempi i “duri e puri” della sinistra non accettavano la società dei consumi, a loro giudizio ingiusta e disumana, e non si capacitavano della rassegnazione di quei loro compagni che non trovavano il tempo per fare politica e neppure per protestare contro le ingiustizie.

           In quello spettacolo descriveva l’impegno delle situazioni, della polizia e della magistratura a reprimere anche ogni minimo tentativo di cambiamento: in effetti, gli odierni Papalia per noi della Lega. Purtroppo c’è evidenza che oggi come ieri la magistratura e i servizi non hanno mai operato con indipendenza di giudizio al servizio della collettività, ma sono sempre stati al servizio del potere.

            A quei tempi Dario Fo era dalla parte dei “duri e puri” della sinistra, e ricordo che in quel “ci ragiono e canto” recitava uno straordinario “dialogo tra gli operai e i sindacalisti”. Fo recitava la parte di un sindacalista che secondo lui era stupido, venduto e disonesto che predicava il gradualismo delle riforme. Agli operai predicava, con voce bianca e in falsetto, che “no, non potete pretendere tutto d’un colpo. E’ necessario cominciare dalle riforme, è necessario eliminare i suoni acuti e gli ultrasuoni di certe macchine che ti fanno impazzire e ti fanno venire l’ulcera. Con le lotte minime il proletariato si prepara alle grandi lotte e alle grandi rivoluzioni. E’ necessario pensare alla lotta per il salario, e poi a quella per aumentare lo straordinario, e poi a quella per la scala mobile, e poi a quella per i ritmi di lavoro, e poi a quella per il cottimo. E’ necessario fare un gradino per volta e non lasciarsi trasportare dalle parole d’ordine”.

            Il coro dei duri e puri ricordava al Fo-sindacalista che pensando solo a queste cose – importanti ma a loro giudizio piccole e parziali – si sarebbero persi di vista i motivi della lotta e quindi il traguardo finale, che nella circostanza era la dittatura del proletariato.

            Sappiamo tutti come è andata a finire: non c’è stata rivoluzione e di quell’obiettivo finale grazie al cielo non parla più nessuno.

            E allora chi aveva ragione, considerando che quel partito riformista e quel sindacato accusati di “tradimento” dai duri e puri della sinistra nei successivi trenta anni hanno ottenuto tutto? Avevano ragione i “traditori”? Qui è necessario fare molta attenzione, perché è importante capire che tutto quello che hanno ottenuto non lo hanno tolto a nessuno. La regola è stata quella del “tu mi dai una cosa a me (sinistra) e io ti do una cosa a te (grande industria)”. Ma se ci hanno guadagnato tutti, scusate, chi ha pagato? La risposta è: i nostri figli, le generazioni future. Perché in Italia tutte le conquiste sociali di questi anni non sono figlie di organizzazione, lavoro, competitività ed efficienza, ma sono state finanziate con il debito pubblico e con il debito pensionistico più alti di tutta l’Unione Europea di tutti i Paesi industrializzati. Quel debito al quale ogni anno anche noi aggiungiamo qualcosa di nostro per poi trasferirlo ai nostri figli.

            Al sindacato e ai politici di quegli anni bisognerebbe dare il Nobel dell’egoismo e della mancanza di responsabilità. Che vergogna. Guardate come hanno ridotto non solo le finanze, ma anche la cultura, il comune sentire e la prassi del Paese. Tra un po’ vedremo Craxi girare tranquillo e felice per le vie di Milano e Roma assieme al suo amico Berlusconi, a Sofri faranno più di 200 processi, il governo italiano, non ho capito bene perché, ha pagato agli Stati Uniti una vecchia multa di 50.000 dollari della Silvia Baraldini, e l’altro giorno al meeting dell’Amicizia di Comunione e Liberazione di Rimini per Andreotti c’è stato un trionfo. Quanto a Dario Fo, purtroppo non è più un uomo “contro”, con idee non condivisibili ma nelle quali credeva con onestà e per le quali era pronto a pagare di persona (e questa è sempre la cosa più importante per capire che è in buona fede e quali sono invece gli uomini in vendita, buoni per tutte le stagioni). Adesso Dario Fo preferisce andare in giro per le strade di Venezia, assieme ai leader di quel sindacato che un tempo criticava e prendeva in giro, agitando una bandierina tricolore per manifestare contro i legittimi interessi dei cittadini della Padania.

            Visto che tanto non pagava nessuno, quel “partita riformista” e quel sindacato hanno ottenuto talmente tanto che adesso qualcuno di loro comincia a rendersi conto di avere esagerato, perché assieme ai padroni “cattivi e sfruttatori” ormai stanno sparendo anche le aziende e i posti di lavoro, schiacciati dal peso delle tasse e degli oneri sociali che qualcuno deve pur pagare per far fronte agli interessi sui debiti, alle pensioni baby, agli eserciti di ferrovieri, di ministeriali, di postini e di burocrati, alla malasanità, alla continua assistenza al Sud che Giancarlo Giorgetti in questi giorni sta descrivendo magistralmente nelle altre pagine di questo giornale, e a tutte le altre “conquiste sociali” basate sull’assistenzialismo, sull’assenza di responsabilità e sulla compravendita di voti.

            La morale di questa storia mi sembra evidente: quando c’è una gara non possono vincere tutti i partecipanti. In Italia in questi anni è successo esattamente questo: sindacati e cattocomunisti sono riusciti a far vincere tutti, ma a spese delle generazioni future. E nella vita prima o poi i conti vengono sempre presentati. Adesso che il trattato di Maastricht impedisce di aumentare il debito pubblico, a Roma i detentori del potere stanno trasferendo tutti i costi delle loro “conquiste sociali” dalle spalle delle generazioni future, che non essendo ancora nate non hanno mai potuto difendersi, su quelle dei piccoli imprenditori, degli artigiani, dei pensionati e in generale di tutti i cittadini delle Regioni della Padania, colpevoli di avere lavorato tutta la vita, di aver sudato per comperarsi la casa e di aver risparmiato per garantirsi una vecchiaia dignitosa senza essere di peso per nessuno. Ma questi cittadini possono difendersi, e la Lega, che da sempre predica conquiste sociali generate da responsabilità, organizzazione, lavoro, competitività ed efficienza, è nata proprio per questo.

            Dalla storia si impara sempre qualcosa. Nel nostro caso l’errore da evitare è quello di non correre mai il rischio di dimenticare il nostro obiettivo finale, che è quello di un sistema che rispetti il valore della responsabilità, e che si può realizzare solo in presenza di autonomia economica e legislativa.  Questo obiettivo, non mi stancherò mai di ricordarlo, non deve essere confuso con i mille mezzi che possiamo e dobbiamo utilizzare per realizzare il nostro progetto: dalla proposta di secessione a quella di federalismo, dal progetto delle province autonome a quello del Parlamento del Nord, a quello di lasciare almeno il 70 per cento delle tasse pagate nel sistema formato da “Comuni, province e regione”, e giù giù fino alla abolizione dei prefetti ed al continuo trasferimento di responsabilità da Roma agli enti locali.

            Oggi, di fronte a gente che continua a protestare e a lamentarsi, che in privato ci dice che la nostra idea di autonomia economica e legislativa è giusta, ma che poi non fa niente per cambiare questo Stato, e che anzi, con il voto per i partiti del Polo o dell’Ulivo contribuisce irrazionalmente a tenerlo in piedi e a rafforzarlo, tutti noi della Lega Forza Nord proviamo un sentimento di avvilimento. Penso che debba diventare sentimento di autocritica, perché è evidente che non siamo stati capaci di far capire quali sono le caratteristiche del nostro progetto e come intendiamo realizzarlo.

            Ci sembra impossibile che in questo Stato, che ha il record europeo della pressione fiscale e della minore efficienza, i cittadini votino per uno perché è “elegante e parla bene”, o per un altro perché è “un imprenditore di successo”, o per un altro ancora “perché in famiglia abbiamo votato sempre così”, o per una signora perché “ha fatto tanta bella pubblicità in Tv”.

            Ci sembra impossibile ma questo sentimento non ci deve togliere l’energia e la voglia di realizzare il nostro progetto. Dobbiamo mandare già rabbia e delusione, dobbiamo continuare a rifiutare nel modo più assoluto ogni ipotesi di violenza, dobbiamo continuare a discutere con i nostri militanti perché abbiamo bisogno di ricevere critiche e suggerimenti, certamente non attestati di ottusa obbedienza.

            Dobbiamo ascoltare la nostra gente e sentire anche le critiche dei nostri avversari, capire quali sono stati i nostri errori, andare oltre le parole d’ordine e far capire in modo più chiaro e semplice quale è il nostro obiettivo. E dobbiamo continuare ad avere tanta voglia di spiegare ai nostri concittadini cosa è necessario fare per cambiare questo Stato.