La riduzione dell'orario di lavoro. Ecco il risultato: le imprese chiudono.

PUBBLICATO su LaPadania -  08/10/1997

            Ieri il nostro giornale ha pubblicato un bell’articolo di Mario Deraglio sulla proposta di Rifondazione Comunista di ridurre per legge l’orario di lavoro. In quell’articolo ci sono due frasi importanti che voglio chiarire meglio.

            La prima è questa: “Questo significa che la riduzione dell’orario porta con sé un aumento del costo di ogni singola ora lavorata”.

Voglio chiarire che il riferimento al costo di ogni singola ora lavorata è importante. Il motivo lo capite guardando la tabella, che funzione in questo modo:

  1. Passando da 40 a 35 ore la settimana il costo orario aumenta del 14,3%. Quello che vedete nella tabella è l’esempio di un operaio che costa tre milioni e trecentomila lire al mese. Il suo costo orario passa da 20.625 all’ora a 23.571.
  2. Adesso pensate che quell’operaio lavori per produrre un certo bene che viene venduto a 205 lire al pezzo. Per produrre quel bene l’azienda sostiene un costo di 200 lire al pezzo:100 lire per la materia prima e 100 lire per il costo del lavoro.
  3. Se diminuiscono le ore lavorate, a parità, come scrive Deraglio, di un costo complessivo, per produrre quel bene l’azienda sosterrà un costo di 214 lire al pezzo: 100 lire per la materia prima e 114 per il costo del lavoro. In una situazione di concorrenza, il prezzo di vendita sarà sempre di 205 lire al pezzo, perché l’azienda non opera da sola sul mercato. Ci sono i concorrenti, che operano in Paesi dove non ci sono (beati loro) i Bertinotti, i Prodi e i Fini.

La seconda frase è questa:“Oppure (le imprese), più semplicemente, trasferiscono la produzione là dove il lavoro costa meno”. Questa è una integrazione al testo della tabella che avevo preparato prima di leggere l’articolo di Deraglio. Come vedete, avevo scritto: “Risultato: o vende in perdita, e poi chiude. O non vende, e poi chiude lo stesso”. In effetti c’è anche questa terza possibilità: L’impresa trasferisce la produzione là dove il lavoro costa meno. E di conseguenza chiude dove è aumentato, non per le regole del mercato, ma per una legge. Ma, come avete capito, il risultato pratico non cambia: le imprese perdono competitività e chiudono.

 

A

Costo al mese

Ore mensili

Costo orario

%

Costo orario prima della riduzione

3.300.000

160

20.625

100,0%

Costo orario dopo la riduzione

3.300.000

140

23.571

114,3%

Aumento (diminuzione)

 

(20)

2.946

14,3%

 

B

Prima della riduzione

Dopo la riduzione

Differenza

Materia prima

100

100

 

                  Lavoro

100

114

(14)

Costo produzione

200

214

(14)

         Prezzo di vendita

205

205

 

Utile (perdita)-valore assoluto

5

(9)

14

Utile (perdita)-percentuale

2,4%

(4,4%)

 

 

                      C

Io dico queste tre cose:

  1. Passando da 40 a 35 ore la settimana, il costo del lavoro aumenta di circa il 14%.
  2. Il costo orario di un operaio che costa 3.300.000 lire al mese passerebbe da 20.265 a 23.571 lire all’ora.
  3. Adesso guardate questo esempio.

C’è una società che produce un bene che gli costa 200 lire al pezzo, 100 lire di materia e 100 di lavoro.
Questo bene lo vende a 205 lire al pezzo. Non riesce a venderlo a una lira di più, a 206 lire, perché 205 è il prezzo del mercato, dove operano anche i  suoi concorrenti dell’Unione Europea, della Turchia e di altri Paesi.
Prima della riduzione riusciva a guadagnare il 2,4% su ogni pezzo che vendeva.  Dopo la riduzione perde il 4,4% su ogni pezzo che vende. Risultato: o vende in perdita e poi chiude. O non vende e poi chiude lo stesso.