Il divario Nord-Sud a suon di buste paga.
“Vecchio Paglia”, l’argomento che questa estate ha suscitato più discussioni e più polemiche è senza dubbio quello del diverso costo della vita tra Nord e Sud e della necessità delle “gabbie salariali”. Lei cosa ne pensa? Dario Ansperti
Il 4 di Agosto la Banca d’Italia ha pubblicato, nel bel mezzo del caldissimo dibattito politico sul Sud per l’utilizzo dei fondi FAS , per la banca per Mezzogiorno, per il partito del Sud, per la fiscalità di vantaggio, per le infrastrutture ecc ecc , due studi molto interessanti che a me sembra siano stati resi pubblici “al momento giusto”. Il primo dimostra che negli ultimi dieci anni lo Stato ha speso una quantità enorme di quattrini per il Sud senza ottenere nessun risultato. Anzi, la situazione è addirittura peggiorata : infatti nel 2007 la ricchezza generata nel Mezzogiorno per ogni singolo cittadino era il 57,4% del centro nord, mentre negli anni 80 era più alta, perché era vicino al 65%. Il secondo studio quantifica la differenza media del costo della vita: “posta pari a 100 la media nazionale, l’indice complessivo del costo della vita risulta pari a 89,3 nel Mezzogiorno e a 107,8 al centro Nord. Nelle regioni meridionali il livello dei prezzi è del 17% inferiore a quello del centro nord”. In altre parole nel Sud per campare servono meno soldi. La vita costa circa il 17% meno che al Nord. Non è solo questione di soldi ma anche di stress: ogni tanto mi tornano in mente le discussioni e le polemiche suscitate dalla dichiarazione di quel manager di Torino che aveva detto che un disoccupato di Crotone viveva meglio di lui.
Subito il giorno dopo, il 5 di Agosto, il ministro Calderoli aveva dichiarato che “andrà posta attenzione alle nostre proposte sulle buste paga parametrate sul reale costo della vita nelle diverse aree del paese”. L’opposizione gliene aveva immediatamente dette di tutti i colori, ma il buon Roberto era stato criticato anche da membri del governo, dai sindacati e dai presidenti di Camera e Senato. Cose sensate invece erano state dette dal Presidente di Confindustria Mercegaglia “contraria a interventi dirigisti” (che il buon Dio la benedica).
Cinque commenti.
Primo: in tutto il mondo (civile) i confronti e le discussioni si fanno sempre sulla base del “potere d’acquisto”. Non ha senso fare riferimento ai valori nominali. 100 Euro di Crotone sono “diversi” (hanno un potere d’acquisto diverso) di 100 Euro di Torino.
Secondo: forse c’è una regia. Lo studio della Banca d’Italia è stato pubblicato al momento giusto, perché ci sono 22 contratti che dovrebbero essere rinnovati prima della fine dell’anno. Dopo la pubblicazione c’è stato il solito gioco delle parti con le inevitabili (finte) polemiche e i titoloni grandi così sui giornali di partito. Poi si è concluso che le gabbie salariali sono antistoriche e che in realtà nessuno le ha riproposte, mentre sono tutti d’accordo sulla necessità di spostare il baricentro della contrattazione dal livello nazionale a quello aziendale. Gli accordi “nazionali” dovranno salvaguardare il potere d’acquisto mentre gli accordi di “secondo livello” terranno conto anche del costo della vita e della produttività , e su di essi in via sperimentale fino al 31 dicembre il Governo concederà anche uno sconto fiscale. In realtà vedrete che nella sostanza non cambierà niente e come sempre tutti (il governo lungimirante, l’opposizione inflessibile e i sindacati) avranno vinto la loro battaglia.
Terzo: questa importante discussione è stata innescata dallo studio pubblicato dalla Banca d’Italia. E se la Banca d’Italia non lo pubblicava? L’Istat, l’Istituto di Statistica , dovrebbe elaborare e pubblicare almeno una volta all’anno l’indice comparato del costo della vita in tutte le province italiane. 100 Euro nominali che potere d’acquisto danno a Milano, a Siracusa, a Napoli o a Biella? E’ un dato fondamentale, utile non solo per poter confrontare gli stipendi dei dipendenti delle PA. Naturalmente dovrebbe essere disponibile l’indice comparato del costo della vita per tutte le Regioni dei paesi membri dell’UE. Ma alla politica italiana i numeri non sono mai piaciuti.
Quarto: nelle imprese private il livello degli stipendi secondo me non dovrebbe essere deciso né dai politici né dai sindacati. Il livello degli stipendi dovrebbe dipendere da una cosa che si chiama “mercato”. A Roma, nei palazzi del potere il “mercato” lo conoscono in pochi mentre gli imprenditori (quelli veri, quelli che non vivono di aiuti pubblici) lo conoscono molto bene perché ci sono dentro fino al collo dalla mattina alla sera. Scrive Carlo Lottieri dell’Istituto Bruno Leoni: “Se assumere un dipendente a Cosenza costa quanto assumerne uno a Vicenza, non si capisce perché qualcuno dovrebbe trovare interessante investire in Calabria… In sostanza, è urgente togliere potere alle centrali sindacali (che si tratti della CGIL come della Confindustria) e dare più autonomia negoziale a chi lavora davvero: imprenditori e dipendenti”. Mi è piaciuto molto il riferimento di Lottieri a “chi lavora davvero”.
Quinto: parliamo dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni. Vi faccio un esempio. Supponete che domani mattina lo Stato assuma due giovani insegnanti , oppure due giovani poliziotti che praticamente sono gemelli: stessa età, stesso curriculum scolastico, stessi voti, perfino stesse caratteristiche fisiche e stessa situazione famigliare. Uguali. Identici. Dunque al momento dell’assunzione lo Stato li deve “trattare uguali”. Dopo potrà, anzi dovrà, dare aumenti diversi se uno lavora meglio dell’altro, ma al momento dell’assunzione mi sembra ovvio che li deve trattare nello stesso modo. Ebbene, per trattarli nello stesso modo deve dargli lo stesso, identico potere d’acquisto. Ma se uno abita a Biella e l’altro a Siracusa, per dargli un identico potere d’acquisto deve dargli due stipendi nominali diversi. Non è questione di “gabbie salariali” , non è questione di Nord e di Sud, di aree in difficoltà , di cassa per il Mezzogiorno, di banca per il Sud oppure, come ha dichiarato il ministro Rotondi, di “dare schiaffi in faccia al Mezzogiorno”… è questione di buon senso! Leggo sul Corriere della Sera che Carlo Podda, leader della Funzione Pubblica nella CGIL, dice che ”il problema non è tanto quello di differenziare i salari quanto piuttosto di sostenere la domanda di consumi in quello che si annuncia un autunno difficile”. Mi sembra un po’ una arrampicata sugli specchi: se oltre all’identico potere di acquisto dato al suo collega di Biella si vogliono dare altri quattrini al giovane neo assunto di Siracusa, nessun problema: ma quello non è stipendio, quella è assistenza. Chiamiamola col suo nome. E’ una questione di trasparenza e di onestà.