Riforma Federale
Novembre 2008: nasce l'Associazione per la riforma federale
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- Creato Venerdì, 21 Novembre 2008 00: :47
Il 21 Novembre 2008 a Milano nello studio del notaio Brienza abbiamo costituito l’Associazione Giancarlo Pagliarini per la riforma federale. Questa è una libera sintesi dell’atto costitutivo.
Premessa
I soci fondatori della “Associazione Giancarlo Pagliarini per la riforma federale” ritengono che il nostro Paese potrà uscire dalle difficoltà che lo attanagliano soltanto se farà un salto di qualità, adottando una vera Costituzione federale.
Questa riforma, che non ha nulla a che vedere con la legge delega per il recepimento dell’articolo 119 della Costituzione (delega utile e ben fatta, ma che malgrado il nome di “federalismo fiscale” non ha assolutamente nulla a che vedere con il federalismo) è necessaria e urgente perché la Repubblica italiana è sull’orlo del tracollo.
Nel 1992 per poter pagare gli stipendi dei suoi dipendenti e trasferire all’INPS le risorse necessarie per pagare le pensioni, lo Stato ha dovuto prelevare soldi dai conti correnti dei cittadini. Dal 1992 a oggi non sono state fatte le necessarie riforme, salvo qualche insufficiente aggiustamento sulle pensioni. I costi, come sempre, sono stati posti a carico dei giovani e delle generazioni future.
Adesso la situazione è molto peggiore del 1992. L’indice di povertà delle famiglie italiane continua a peggiorare e gli italiani sono sempre più poveri e meno competitivi.
Eppure le caratteristiche intellettuali e culturali delle persone che risiedono nei confini della Repubblica non sono significativamente diverse da quelle dei nostri concittadini europei. Cultura e intelligenza non ci condannerebbero di certo: il nostro dramma è che il paese è organizzato male ed è ormai avvitato in un sistema di "irresponsabilità istituzionalizzata".
Senza una vera riforma federale la Repubblica italiana è destinata "a colare a picco", preda dello squilibrio sempre più grave fra rendite politiche e rendite di mercato. E a rimanere alla periferia della storia e anche del semplice progresso civile. Kenichi Ohmae nel libro del 1994 La fine dello Stato-nazione affermava: "I governi nazionali tendono tuttora a considerare le differenze tra regione e regione in termini di tasso o modello di crescita come problemi destabilizzanti che occorre risolvere, anziché come opportunità da sfruttare. Non si preoccupano di come fare per aiutare le aree più fiorenti a progredire ulteriormente, bensì pensano a come spillarne denaro per finanziare il minimo civile.
Si domandano se le politiche che hanno adottato siano le più adatte per controllare aggregazioni di attività economiche che seguono percorsi di crescita profondamente diversi. E si preoccupano di proteggere quelle attività contro gli effetti "deformanti" prodotti dalla circolazione di informazioni, capitali e competenze al di là dei confini nazionali. In realtà non sono queste le cose di cui ci si deve preoccupare. Concentrarsi unicamente su questi aspetti significa mirare soprattutto al mantenimento del controllo centrale, anche a costo di far colare a picco l’intero paese, anziché adoperarsi per permettere alle singole regioni di svilupparsi e, così facendo, di fornire l’energia, lo stimolo e il sostegno per coinvolgere anche le altre zone nel processo di crescita."
La differenza, dunque, non è tra destra e sinistra ma tra statalisti e liberisti, tra centralisti e autentici federalisti: i danni generati negli ultimi tempi dai governi "statalisti" di destra e di sinistra sono sotto gli occhi di tutti.
Sostituire periodicamente un governo centralista, statalista e di sinistra con la sua fotocopia centralista , statalista ma di destra è semplicemente inutile: per salvare la Repubblica italiana occorre una profonda riorganizzazione federale del paese. E’ necessaria una nuova Costituzione con la quale la Repubblica italiana diventi la Repubblica federale italiana.
Ciò comporta il trasferimento sostanziale di sovranità dallo Stato centrale verso le entità federate. Questo trasferimento non deve avvenire su basi funzionali ma deve consistere in un vero e proprio frazionamento di sovranità, attuando un’autentica divisione del potere. In questi anni invece assistiamo a un mero “decentramento” che non divide affatto la sovranità. Si limita ad “alleggerirla” in alcune sue funzioni amministrative e finanziarie., ma mantiene un'unica , illogica, inefficiente e irrazionale fonte di potere centrale che rende ogni giorno meno competitivo il paese e ne prolunga l’agonia.
Il paese invece ha bisogno di competizione. Competizione istituzionale e competizione economica. Serve la competizione delle idee, da cui dipende la nascita di soluzioni (anche politiche) innovative.
La Costituzione del 1948 deve essere radicalmente riscritta, senza pudori e senza alcun riguardo per i santini, le icone e i sepolcri imbiancati: non esiste nessuna parte della Costituzione che debba essere considerata “intoccabile” ed eterna. Come ricordava spesso Thomas Jefferson: le mani dei morti non possono tracciare il cammino dei vivi. La nostra Costituzione altro non è che il documento di compromesso di un’area periferica del pianeta segnata dalla linea di demarcazione della Guerra Fredda e non avrebbe dovuto sopravvivere un secondo al crollo del muro di Berlino. Perché sono cambiati lo scenario e le esigenze. Perché è morta la cultura politica del cattolicesimo popolare e quella marxista, sul cui incontro si basa la Carta del 1948.
La “Repubblica italiana” deve diventare la "Repubblica Federale italiana"; come ricordava Gianfranco Miglio, l’essenza di una costituzione federale non sta tanto nel numero di funzioni spostate nella “periferia”, quanto nella capacità delle unità territoriali (sovrane a tutti gli effetti sul proprio territorio, con competenze irrevocabili) di “resistere alla naturale tendenza espansiva del potere centrale". Al potere si resiste solo con il potere: le Regioni federate dovranno essere dotate dei più sofisticati strumenti costituzionali per opporsi validamente alle lusinghe o alle minacce di Roma”.
Questo significa un respiro meno provinciale, una società più aperta. Più responsabilità, più efficienza, più concretezza e più competitività. Perché, sia detto con grande franchezza,il federalismo è l’organizzazione razionale di una società che ha non solo fatto la pace con l’economia di mercato, ma ha anche adottato una logica competitiva e concorrenziale.
Più "accountability", vuol dire più trasparenza (anche contabile), il che equivale a sapere sempre “quanto costa e chi lo paga”. I conti chiari porteranno anche alla fine delle ideologie, le maschere attraverso le quali si formano le "caste" di politici e burocrati.
E soprattutto meno intermediazione dello Stato e meno liti tra gli "addetti ai lavori” della politica . Il guaio è che per troppi "addetti ai lavori" è più importante gestire il potere che servire i cittadini. Questo è, in parte, frutto del sistema, che incentiva la discussione infinita anziché l’assunzione di responsabilità.
I capisaldi sui quali, a giudizio dei soci fondatori della "Associazione Giancarlo Pagliarini per la riforma federale", si dovrà costruire il contratto federale della Repubblica federale italiana sono esposti qui di seguito. Il riferimento allo “Stato” è utilizzato per rendere più chiari i cambiamenti. Naturalmente quando l’Italia sarà una Repubblica federale lo Stato italiano sarà sostituito dalla Federazione italiana. Giacché uno Stato non potrà mai essere federale.
Primo. Ridurre il peso della "intermediazione" statale. Le Regioni e gli enti locali non dovranno aspettare in ginocchio di ricevere trasferimenti ed elemosine dallo Stato (dalla Federazione). I soldi delle tasse, infatti, non saranno più dello Stato, come dichiarano oggi gli statalisti, sia di destra che di sinistra quando affermano che "le tasse non sono a dimensione regionale ma nazionale". Dovrà essere vero il contrario: lo Stato (la Federazione) dovrà operare come fornitore di servizi ai cittadini. I soldi delle tasse saranno del territorio che ne trasferirà una parte allo Stato (alla Federazione) per comperarne i servizi: esercito, presidenza della Repubblica federale, Parlamento eccetera. I cittadini, a differenza di oggi, saranno più rispettati e diventeranno più consapevoli. Quando pagheranno per i servizi che ricevono dallo Stato (dalla Federazione) si chiederanno immediatamente se questi servizi ci sono e se valgono i soldi che stanno pagando. Così capiranno meglio, perché lo toccheranno con mano, se effettivamente stanno “comperando” servizi dallo Stato (dalla Federazione) oppure se con quei soldi stanno invece mantenendo le “caste” dei politici, dei burocrati, di quelli che non vogliono le liberalizzazioni e dei tanti altri mantenuti dalla collettività. Inoltre l’estensione dei servizi resi direttamente dallo Stato (dalla Federazione) sarà drasticamente ridotta, in quanto oggi il settore pubblico fornisce un’infinità di servizi che potrebbero essere offerti, con una qualità superiore e a un costo inferiore, dal mercato.
Secondo. Come tutti i fornitori anche lo Stato (la Federazione) , salvo pochissime attività, non potrà agire in regime di monopolio. Infatti senza concorrenza i suoi servizi (istruzione o sistema pensionistico, per esempio) non potranno che continuare a essere non sempre di buona qualità e insostenibilmente costosi. Con la riforma che proponiamo alcuni poteri, responsabilità e risorse finanziarie non saranno più, come oggi, di uno dei componenti della Repubblica (lo Stato), ma saranno di altri componenti (le Regioni e i Comuni). L’organizzazione della Repubblica sarà modificata e resa più responsabile e più efficiente. Alle tante “caste” del Paese questa proposta non va bene perché da sempre utilizzano lo Stato per gestire il potere. Questa proposta modifica la mappa del potere: lo toglie alle “caste” dei politici e dei burocrati e lo trasferisce più vicino ai cittadini. La ricetta che i fondatori della “Associazione Giancarlo Pagliarini per la riforma federale” propongono è, in breve: più concorrenza nei servizi pubblici; meno Stato nei mercati concorrenziali.
Terzo: la regola della parità. Lo Stato (la Federazione), le Regioni e i Comuni dovranno avere identica dignità. Sarà necessario identificare i compiti legislativi (la identificazione dei grandi principi) e i pochi compiti operativi (per esempio l’esercito) dello Stato (della Federazione) . Tutte le altre leggi e tutti gli altri compiti operativi dovranno essere responsabilità delle singole Regioni in concorrenza tra di loro.
Quarto. La competizione. Questo è il cuore della riforma: con questo principio si genera responsabilità ed efficienza. Abbiamo scritto che “tutte le altre leggi e tutti gli altri compiti operativi dovranno essere responsabilità delle singole Regioni in concorrenza tra di loro.” Questo riguarderà tutte le leggi di attuazione dei grandi principi presenti nella Costituzione e via via indicati dalle leggi dello Stato (della Federazione) . E riguarderà anche le tasse. Con le tasse nazionali si pagheranno i servizi dello Stato (della Federazione) e si metteranno risorse in un piatto comune per finanziare interventi finalizzati a ridurre la dipendenza di tutte le Regioni dal centro. Mai l’assistenzialismo. Tutte le altre tasse saranno stabilite e gestite dalle Regioni in concorrenza tra di loro. Questo è il principio della concorrenza fiscale tra le Regioni. Nelle Regioni dove si deciderà di dare direttamente tanti servizi ai residenti (cittadini, imprese, associazioni ecc) la pressione fiscale sarà ovviamente superiore alla pressione delle Regioni dove gli amministratori opereranno in modo più oculato, oppure decideranno di dare meno servizi, oppure sapranno coinvolgere in modo più intelligente ed economico di altre regioni i privati. Ferma restando la tutela dei diritti civili e sociali di tutti i cittadini, che non dovranno però essere finanziati col debito pubblico e fatti pagare alle generazioni future, come è stato fatto finora. Dovrà essere pubblicata la classifica della “pressione fiscale” nelle Regioni. Non sarà "caos" ma sarà gara a chi amministra meglio, a chi saprà applicare nel modo più efficace il principio di sussidiarietà, a chi riuscirà meglio a delegare, responsabilizzare e controllare. Sarà gara a dove la qualità della vita è migliore, a dove si attirano più investimenti e a dove c'è più sicurezza e meno ladri a piede libero. Inoltre, a differenza di quanto afferma la Costituzione attuale, dovrà essere consentito anche il ricorso allo strumento referendario (senza quorum) su decisioni di bilancio (prelievo e spesa), con effetto vincolante, per riportare al centro delle scelte il cittadino sovrano.
Quinto. Responsabilità. Quello che abbiamo descritto modificherà l’assetto della Repubblica e cancellerà finalmente il principio della “irresponsabilità istituzionalizzata” che ha caratterizzato per troppi anni la nostra vita pubblica, facendoci rotolare agli ultimi posti di tutti i più importanti confronti internazionali, dall’indice di libertà economiche della Heritage Foundation alla classifica di competitività del World Economic Forum. Non è mai colpa di nessuno e chi sbaglia non paga mai. Ecco perché non basta cambiare governi e membri del Parlamento: è necessaria una diversa organizzazione del paese.
Sesto. Perequazione. La perequazione non si dovrà trasformare nella tomba dell’efficienza, dell’innovazione e della libera impresa. Ci sarà una tassa nazionale destinata a finanziare i fondi di perequazione che funzioneranno con forme di collaborazione verticale (con il centro) e orizzontale (tra le Regioni). Per la perequazione verticale dovrà essere individuato un indice per il rilevamento dei potenziali finanziari di risorse e imposte a livello regionale che consentirà di classificare le Regioni in forti e deboli. I calcoli saranno sempre effettuati sulla base del “potere d’acquisto” e saranno aggiustati con le stime dell’ evasione fiscale. Le Regioni deboli riceveranno dalle Regioni forti mezzi finanziari a destinazione non vincolata, in modo da garantire la piena sovranità regionale sulle spese e gli investimenti, realizzando così la perequazione orizzontale delle risorse; altrettanto farà lo Stato (la Federazione), realizzando in questo modo la perequazione verticale delle risorse. Così facendo saranno rispettate sia la sovranità regionale (principio fondamentale del federalismo) che la concorrenza fiscale tra le Regioni. Infine la compensazione degli oneri da parte dello Stato (da parte della Federazione) permetterà di indennizzare gli oneri strutturali cui le Regioni (tanto quelle forti che quelle deboli) devono far fronte e su cui non possono influire (come le condizioni orografiche o particolari condizioni demografiche).
Settimo. Trasparenza. E’ un punto cruciale, un altro tratto saliente del federalismo. E’ fondamentale che i cittadini siano informati, consapevoli e convinti. La trasparenza dovrà essere uno dei principi cardini della nuova costituzione federale.
Sette punti, per una profonda rivoluzione del Paese che finalmente trasformi le diversità del nostro territorio in uno straordinario vantaggio competitivo nel mondo globalizzato: perché questo progetto si trasformi in una scelta culturale e successivamente in una più consapevole scelta politica abbiamo costituito la “Associazione Giancarlo Pagliarini per la riforma federale”. Poiché la riforma federale non è né di destra, né di sinistra, i soci fondatori hanno dichiarato che nessuno di essi, all’atto della costituzione dell’associazione, risulta iscritto ad alcun partito (Articolo 6 dello Statuto). E, tuttavia, come diceva spesso Gianfranco Miglio: “farei un patto anche col diavolo pur di ottenere un assetto federale di governo”.
L'associazione non ha limiti di tempo e si scioglierà quando la Repubblica italiana si trasformerà in una Repubblica Federale
A livello accademico, divulgativo e politico l’Associazione tratterà i temi delle riforme finalizzate alle realizzazione della Repubblica Federale italiana e dell’Europa dei popoli e di conseguenza i temi, strettamente connessi, della globalizzazione, del mercato, della società aperta e dei diritti individuali.
Si attiverà per la costituzione di comitati e gruppi di lavoro che agiranno secondo specifici settori di competenza, svolgendo anche opera di sensibilizzazione dei pubblici poteri. Istituirà borse di studio per finanziare ricerche. Potrà decidere di federarsi con altre associazioni ed anche con uno o più partiti politici che condividano gli obiettivi e lo schema descritto nella premessa.
Per il primo triennio, il Consiglio Direttivo ha eletto:
- ALESSANDRO VITALE, Presidente;
- LUIGI MARCO BASSANI, Vice Presidente;
- GIANCARLO PAGLIARINI, Segretario;
- CHIARA MARIA BATTISTONI, Tesoriere
Soci fondatori: Luigi Marco Bassani, Chiara Maria Battistoni, Giancarlo Pagliarini, Alessandro Vitale
Soci onorari: Francesco Tabladini, Carlo Stagnaro, Carlo Lottieri