LaPadania pubblica tre articoli di Pagliarini su Davos

Da "LaPadania" - Febbraio 2006

Parte prima

Venerdì 27 Gennaio in uno dei gruppi di lavoro del convegno che il World Economic Forum organizza ogni anno  a Davos,  il Presidente della Banca Centrale Europea  Jean-Claude Trichet , il Ministro Giulio Tremonti, l’economista Nouriel Roubini ed altri hanno discusso del futuro dell’Unione Monetaria (UM qui di seguito). Gli organizzatori, un pò maliziosamente, avevano chiesto ai membri del “panel” di rispondere a domande di questo tipo: l’UM ha un futuro? Quali sono le prospettive del patto di crescita e stabilità? In caso di crisi quale sarà lo Stato membro che uscirà per primo dall’Euro? E così via.

Roubini, che è nato a Istambul e che dopo essersi laureato in Bocconi è stato chiamato a insegnare  nelle università di Harvard, di Yale e di New York, stava dicendo che a suo giudizio in assenza di alcune riforme  l’Italia avrebbe rischiato di avere un futuro comparabile con quello dell’Argentina. Tremonti ha interrotto Roubini con un gelido “Grazie per l’attenzione. Se ne torni in Turchia!”  Roubini ha replicato con “Non ho niente contro l’Italia, sto solo esprimendo le mie valutazioni di economista indipendente”. E Tremonti: “Si, indipendente dalla logica”.

Il fatto è che questo non è un episodio isolato: a ragione o a torto in giro per il mondo in molti hanno la percezione che il futuro del nostro paese sia molto incerto. Oltre a quella di Nouriel Roubini, ecco un breve elenco di altre recenti dichiarazioni: 1) Ottobre 05: il World Economic Forum ha pubblicato la sua periodica “classifica della competitività degli Stati”. Da due anni l’Italia è inchiodata al 47esimo posto su 117 Stati, ben staccata da tutti gli altri paesi membri dell’Unione Europea, con  l’eccezione della sola Polonia che è dietro di noi ma comunque abbastanza vicina: è al 51esimo posto. Non essere competitivi significa, in poche parole non attirare capitali per nuovi investimenti e diminuire le esportazioni. Nel lungo periodo gli effetti su lavoro e pensioni sono devastanti. 2) Novembre 05:  l’Economist , che periodicamente esamina in profondità uno Stato (c’è già molta attesa per gli studi che saranno pubblicati l’11 Febbraio 06 sulla Germania e il 25 Marzo 06 sulla Cina)  ha pubblicato un duro “survey” dedicato all’Italia intitolato “Addio, Dolce vita”. C’è una pagina dedicata alla “Fazio’folly” e il capitolo conclusivo è intitolato “Reform or die” che vuol dire: “se non fanno le riforme sono morti”.  L’autore, dopo aver enfatizzato la necessità di riforme che liberalizzino i mercati, che facciano aumentare la competitività e smuovano l’inefficiente ed a volte corrotto  settore pubblico , scrive  che 1) le riforme necessarie non sono state fatte dal Governo Berlusconi e che 2) dubita che, in caso di vittoria alle prossime elezioni, possano essere fatte dal centro sinistra. La sua domanda finale è  questa “l’Italia ha bisogno di una crisi (nel senso di una visibile “emergenza”) per migliorare la sua criticissima situazione?” Esclusivamente per dovere di cronaca ricordo che l’Economist è stato sempre ferocemente critico con Berlusconi e la sua corrispondete da Roma dal 1987 al 1996 era Tana de Zulueta,  che da due legislature è senatrice in uno dei partiti dell’opposizione.  3) Gennaio 06: è stata pubblicata la decima edizione della classifica delle “libertà economiche” della Heritage Foundation di Washington. L’Italia, 26esima nel 2004 e nel 2005, quest’anno è stata classificata al 42esimo posto al mondo su 155 Stati esaminati. 4) Sempre in Gennaio 06 dobbiamo registrare  questa scoraggiante dichiarazione dell’irlandese  Jim O’Neill, capo della ricerca economica di Goldman Sachs e brillante inventore delle previsioni (fin’ora azzeccate) sullo sviluppo dei paesi BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) : “Se nelle manifatture di fascia alta l’Italia non riesce nemmeno ad avere costi competitivi con la ricca Germania cosa le rimane da offrire? Solo cibo e un po’ di calcio interessante”. Anche per GS devo ricordare, per dovere di cronaca, che Prodi è stato loro consulente, che Monti lo è adesso, e che il Governatore Draghi era un loro apprezzatissimo socio.

Questi articoli, considerazioni e classifiche  a volte (non sempre) si basano su mere “percezioni”. Non sono certamente  la Bibbia, tuttavia sono pur sempre dei termometri con qualche valore segnaletico. Ma per valutare come stanno in realtà le cose naturalmente è opportuno considerare e valutare moltissime altri fatti.  Domani ne vedremo qualcuno  qualcuno, giusto per capire “che aria tira” dalle parti di Roma.

 

Parte seconda

1        Ci sono tantissimi soldi che girano continuamente intorno al mondo alla ricerca di buone idee,  di buoni imprenditori da finanziare e di posti dove fermarsi.  Tutte le statistiche, dal bollettino economico della banca d’Italia in giù ci dicono che ormai da anni (quindi la colpa non è certamente del governo Berlusconi) nessuno investe più in Italia. Questo è un dato di fatto. D’altro canto voi fareste un investimento, o più semplicemente comprereste una casa in un paese dove si propone una legge per l’espropriazione degli alloggi sfitti per darli agli sfrattati e alle giovani coppie? Non è fantascienza: questa è una proposta di legge depositata  in Regione Liguria, e Vincenza Nesci, coordinatore nazionale per le politiche regionali di Rifondazione Comunista, ha dichiarato che si tratta di una legge pilota cui seguiranno analoghe iniziative da parte dei gruppi di rifondazione di tutta Italia (fonte:La Stampa del 31 Gennaio 06).

2        Nel 1995 il nostro PIL (884 miliardi di dollari) era il quinto del mondo. Diviso per il numero di abitanti il nostro PIL pro-capite era di circa 15 mila  dollari ed era il quindicesimo del mondo. Dieci anni dopo in valore assoluto siamo al settimo posto, ma pro-capite continuiamo a scivolare indietro: con  26,800 dollari a testa nel 2003 eravamo 24esimi al mondo e  nel 2005 con 28.300 dollari siamo scesi al 30esimo posto. Bisogna dire che questi numeri includono anche una generosa stima del PIL sommerso e che in queste classifiche sono inclusi anche mini-Stati come Montecarlo e San Marino. Comunque un dato è certo: i numeri ci dicono che il mondo corre, che non c’è mai stata tanta crescita e tanta ricchezza come in questi anni, mentre noi siamo sempre più “strikeland” (terra degli scioperi) e sempre meno competitivi.

3        A proposito di scioperi, nel mondo Alitalia sta diventando un simbolo (in negativo) della  “cultura” accettata, anzi della cultura prevalente del nostro paese. Pensate che il Parlamento nel Luglio 04 ha dovuto garantire un prestito-ponte di 400 milioni di Euro all’Alitalia perché altrimenti il gruppo non sarebbe stato in grado di pagare gli stipendi. Questo è successo dopo che i cittadini italiani con le loro tasse avevano già coperto le perdite degli ultimi 10 anni per più di 3,3 miliardi di Euro. Vi dò un parametro: tutta l’Irpef, l’imposta sulle persone fisiche, pagata in un anno in tutto il Friuli Venezia Giulia è di circa 3 miliardi di Euro. E’ come dire che tutti i cittadini del Friuli Venezia Giulia lavorano un anno intero per avere il privilegio di coprire le perdite della “compagnia di bandiera”. Ne valeva la pena o non era meglio lasciare quei soldi ai progetti di ricerca e sviluppo delle imprese del Friuli e volare con qualche altra compagnia?  Eppure, invece di ringraziare il cielo, invece di rendersi conto che la sopravvivenza del gruppo è legata a un filo, invece di riorganizzarsi, fare sacrifici  e impegnarsi al massimo nel lavoro, si sono messi a fare scioperi, e secondo un rapporto predisposto dai sindacati ogni mattina circa 750 assistenti di volo marcano visita. Si danno ammalati e non si presentano al lavoro per quello che il sindacato definisce come “assenteismo da mancanza di motivazione al lavoro”.  Da non credere. Ma che paese siamo diventati?!

4        Da quando c’è l’Euro il costo del lavoro in Italia è aumentato più che in Germania. In Germania invece la produttività è aumentata più che in Italia. Malgrado questo il bavarese Stoiber ha detto che la situazione dei conti tedeschi è drammatica  e così la “grossa coalizione” si propone di aumentare di 3 punti l’IVA (che era al 16%), di fare lavorare un’ora in più la settimana i dipendenti pubblici senza aumento di stipendio, di alzare a 67 anni l’età per andare in pensione, e così via. Conseguenza: le esportazioni e la “locomotiva” tedesca stanno ripartendo. Il Sole 24 Ore del 2 Febbraio ha pubblicato in prima pagina l’articolo di Enzo Grilli “Non solo Usa e Cina. Crescita, le sorprese di Berlino e Tokyo”. L’articolo correttamente finisce con la frase “e noi dobbiamo fare la nostra parte”. Già, ma quando cominciamo? Tenete presente anche questo particolare: il nostro debito pubblico pro-capite è superiore del 40% a quello della Germania. Ma qui da noi pochi della maggioranza e pochi dell’opposizione dicono che la situazione dei conti è drammatica. Anzi: non ci si preoccupa granché, si parla di quote rosa, si litiga,  e con l’accordo di quasi tutti pochi giorni fa il Parlamento ha finanziato per il dodicesimo anno consecutivo l’emergenza rifiuti della Regione Campania, con tanti omaggi a Bassolino. Nota: il 4 Novembre 05 il giornale “Il Mattino” di Napoli ha pubblicato l’articolo “Rifiuti, verifiche su consulenti e parcelle” nel quale tra le (tante) spese sotto accusa c’era anche questa:  “Telefonate costose (70.000 Euro) partite dagli uffici del Commissariato per l’emergenza rifiuti verso le linee porno”.

5        Nel 1990 il nostro debito pubblico era di 663 miliardi di euro, e in quell’anno gli interessi passivi sul debito pubblico ci erano costati 72 miliardi di euro. Nel 1996 la spesa per interessi passivi era aumentata a 113 miliardi di Euro. Ma veniamo ai giorni d’oggi. Il debito pubblico alla fine del 2004 era di 1.440 miliardi di Euro: più del doppio dei 663 miliardi del 1990. Ma nel 2004 il costo degli interessi passivi è stato di “soli” 68 miliardi. Dunque nel 1990 avevamo un debito pubblico di 663 miliardi di Euro e a quelli che ci avevano prestato quei soldi abbiamo dovuto pagare 72 miliardi. Dopo quindici anni i nostri debiti sono molti di più, sono 1.440 miliardi, ma a quelli che ce li hanno prestati (e se non ce li prestavano non si pagavano le pensioni, questo deve essere ben chiaro), siamo riusciti a pagare  meno che nel 1990. E’ un miracolo, vero? Il guaio è che questa fantastica riduzione del costo degli interessi non l’abbiamo utilizzata per diminuire il debito pubblico, ma l’abbiamo usata per aumentare allegramente le spese correnti. Se nel 1996 tutte le spese pubbliche in Italia erano 100, nel 2004 erano diventate 126. Un aumento del 26% in otto anni non sarebbe così terribile, ma se guardiamo bene 100 di interessi passivi del 1996 sono diventati 61 nel 2004 , mentre 100 di stipendi pubblici e  altre spese correnti del 1996 sono diventati 144 nel 2004.  E adesso se e quando aumenteranno, anche di poco, i tassi di interesse,  saranno guai veramente molto seri.

Potrei continuare con mille altre considerazioni ma credo che questo sia sufficiente per far capire ai lettori che i nostri problemi sono più nella cultura del sistema paese che nelle leggi da fare. La soluzione si chiama federalismo fiscale, o se volete “responsabilità e trasparenza”, e domani vedremo in dettaglio come dovrebbe funzionare.

 

Parte terza

Il problema del nostro paese si chiama “mancanza di competitività”. Fossimo competitivi le cose che abbiamo visto non sarebbero gravi, perché ce le potremmo permettere. La conseguenza della mancanza di competitività è che creiamo sempre meno ricchezza. Diventiamo ogni giorno più poveri, viviamo al di sopra delle nostre possibilità e mettiamo a rischio lavoro, pensioni e qualità della vita. I motivi di questa situazione sono due e si chiamano “troppo Stato”  e “troppo assistenzialismo”. Gli statalisti di centro sinistra li hanno creati,  sono nel loro DNA, e se vinceranno le prossime elezioni non li risolveranno di certo. Il guaio è che nel centro destra gli statalisti (che sono un po’ dappertutto) si sono rivelati più numerosi e più forti dei liberisti, e così in questi 5 anni non si è fatto abbastanza per aumentare le libertà economiche e di conseguenza la competitività del sistema paese.

Lasciatemi fare due esempi molto concreti di “troppo Stato”    e di “troppo assistenzialismo”, delle loro conseguenze e di quella che secondo me è l’unica soluzione possibile.

Primo esempio: “troppo Stato”.Abbiamo tutti letto sui giornali che il gruppo Candy guidato da Aldo Fumagalli ha intenzione di chiudere la fabbrica di Donora, nella bassa bergamasca, e di trasferire la produzione di frigoriferi a Podborany nella Repubblica Ceca. Fumagalli ha dichiarato che “da noi il lavoro costa 21 Euro all’ora e a Podborany solo 3 Euro. La competizione è sempre più dura e se vuoi restare sul mercato non ci sono alternative”. Ma di quei 21 Euro in tasca ai lavoratori ne vanno meno di 10. Il resto serve per mantenere la burocrazia e pagare i servizi di uno Stato troppo grande e che vuole “vendere” direttamente ai cittadini i suoi servizi (istruzione, sanità, pensioni eccetera) operando in posizione di monopolio e senza accettare di confrontarsi alla pari con i tanti potenziali concorrenti. Ecco perché i servizi pubblici a volte sono pessimi anche se, in tasse, costano moltissimo alla collettività.

Secondo esempio: “troppo assistenzialismo”. In Lombardia nel 2003 per ogni 100 Euro di pensioni incassate i lavoratori ne hanno versati 100,4. In Veneto 97,4: dunque per il Veneto per ogni 100 Euro di pensioni pagate lo Stato ne ha presi 2,6 dalle tasse oppure dal debito pubblico e li ha dati ai pensionati del Veneto. Ma in Calabria ne sono stati versati 25,2:  per la Calabria per ogni 100 Euro di pensioni pagate lo Stato ne ha presi 74,8 dalle tasse oppure dal debito pubblico e li ha dati ai pensionati della Calabria. Le tre Regioni con la più alta differenza in valore assoluto sono Sicilia, Campagna e Puglia. In soldoni, la differenza tra contributi sociali versati e pensioni incassate di Sicilia, Campania e Puglia nel 2003 è stata di 15 miliardi e 707 mila Euro. E questo solo per le pensioni INPS.  Ed è così tutti gli anni. Forse non tutti si rendono conto di cosa significano quasi 16 miliardi di Euro. Vi dò qualche parametro: tutta l’IVA pagata in un anno nella regione Liguria è di circa 2 miliardi e 500mila Euro (fonte: il libro del dipartimento per le politiche fiscali del ministero dell’Economia e della Finanza intitolato “la regionalizzazione delle entrate erariali”, pag 88). Dunque il “buco” delle pensioni di Sicilia, Campania e Puglia è uguale a più di 6 volte tutta l’Iva che si paga in un anno in Liguria. O se preferite è uguale al doppio di tutta l’IVA che si paga in un anno in Veneto. Oppure considerate che la Bnp Paribas ha appena fatto una offerta totalitaria di 9 Miliardi di Euro per comperare la Banca Nazionale del Lavoro: questo vuol dire che le pensioni non supportate dal versamento di contributi sociali di queste tre regioni ogni anno costano agli italiani quasi come due Banche Nazionali del Lavoro. A questa cifra bisognerebbe aggiungere i deficit delle altre regioni e degli altri enti previdenziali. Capite che con questi numeri non possiamo né competere ad armi pari né andare molto lontano.

La soluzione non è dietro l’angolo. Troppo Stato e troppo assistenzialismo sono due droghe, ma togliere la droga di colpo può anche causare la morte. Anche il vizio delle svalutazioni competitive era una droga per il sistema economico italiano.  Prodi, Ciampi e Visco hanno tolto di colpo questa droga al paese facendolo aderire all’UM con il primo gruppo, senza fare prima le necessarie riforme: gli interessi passivi sono diminuiti, ma anche gli effetti sulle nostre esportazioni e sulla competitività del sistema paese  purtroppo sono sotto gli occhi di tutti.

In Cina e in India  poco meno del 40% dell’umanità vive con meno dell’8% del PIL (della ricchezza) del mondo: il trasferimento di ricchezza e di benessere è inevitabile e se non saremo in grado di reagire recuperando molto in fretta competitività e quote di mercato è agevole prevedere che noi diventeremo i nuovi poveri d’Europa. Il continuo drenaggio di risorse dalle regioni industrializzate per finanziare Stato e assistenzialismo impedisce gli investimenti in ricerche, sviluppo, nuove tecnologie e nuovi prodotti e in questo modo, in presenza di una concorrenza internazionale sempre più severa, questo incosciente drenaggio effettuato in nome della solidarietà e dell’unità dello Stato condanna nel medio periodo la Lombardia, il Veneto ed altre Regioni al sottosviluppo, e tutti gli italiani alla povertà. Questo è esattamente quello che sta succedendo. La Lega prevede  questo scenario da anni e si adopera per cercare di evitarlo, e voglio ricordare che esso è stato descritto con queste parole da Kenichi Omhae nel recente “Il prossimo scenario globale” (ETAS, Settembre 2005) :“Il tradizionale Stato-nazione centralizzato è un’ulteriore fonte di attrito. E’ male equipaggiato per giocare un ruolo significativo nel nuovo contesto economico mentre le regioni che lo compongono sono spesso gli attori migliori per attrarre e trattenere ricchezza”

La via d’uscita a mio giudizio si chiama “responsabilità e trasparenza” e il suo percorso è questo: da subito si regionalizza  e si rende pubblico il bilancio di tutta la Pubblica Amministrazione, organizzandolo con gli opportuni risultati intermedi in modo che i numeri “parlino” in modo molto chiaro e siano capiti da tutti, e contemporaneamente si approva un progetto che si pone questo obiettivo: nel giro di 5 anni ogni regione deve coprire almeno il 75% della sua spesa per le pensioni e per ogni altro tipo di spesa, naturalmente esclusi gli interessi passivi sul debito pubblico. Io penso che questo sia l’unico modo per attuare in modo costruttivo e rivolto al futuro l’articolo 119 della Costituzione e per far funzionare in modo efficiente e responsabile i suoi due fondi perequativi e di solidarietà.

Giancarlo Pagliarini