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Elezioni cominali Milano 2011. Pagliarini candidato sindaco.http://giancarlopagliarini.it/index.phpx/diario2015-10-27T14:04:12+00:00Joomla! 1.6 - Open Source Content ManagementBilancio preventivo di spesa della lista “Giancarlo Pagliarini per il federalismo”2011-04-26T14:11:57+00:002011-04-26T14:11:57+00:00http://giancarlopagliarini.it/index.phpx/diario/giancarlo-pagliarini-informa/258-bilancio-preventivo-di-spesa-della-lista-giancarlo-pagliarini-per-il-federalismoCarlavartanush@gmail.com<p style="text-align: justify">
<strong>Ecco il testo del documento che la lista “Giancarlo Pagliarini per il federalismo” ha depositato in comune, come richiesto dalla legge 25 marzo 1993 n° 81</strong></p>
<p style="text-align: justify">
L’articolo 30 della legge 25 marzo 1993 n 81 è intitolato “Pubblicità delle spese elettorali” ed è composto da due commi. Ecco cosa dice:</p>
<p style="text-align: justify">
1. Salvo quanto stabilito dalla legge, gli statuti ed i regolamenti dei comuni con popolazione superiore a 10.000 abitanti e delle province disciplinano la dichiarazione preventiva ed il rendiconto delle spese per la campagna elettorale dei candidati e delle liste alle elezioni locali.</p>
<p style="text-align: justify">
2. Nei comuni con popolazione superiore a 50.000 abitanti, il deposito delle liste o delle candidature deve comunque essere accompagnato dalla presentazione di un bilancio preventivo di spesa cui le liste ed i candidati intendono vincolarsi. Tale documento deve essere reso pubblico tramite affissione all’albo pretorio del comune. Allo stesso modo deve essere altresì reso pubblico, entro trenta giorni dal termine della campagna elettorale, il rendiconto delle spese dei candidati e delle liste.</p>
<p style="text-align: justify">
Il 28 marzo il giornale “Leggo Milano” ha pubblicato un articolo di Giulia Salemi intitolato <em>“Corsa al voto. A un mese e mezzo dalle amministrative , ecco i budget dei partiti. Spese elettorali, la Moratti batte tutti. Dai 6 milioni del primo cittadino uscente ai 3.000 euro di Pagliarini”</em></p>
<p style="text-align: justify">
Il mondo è bello perché è vario. Io, sia nella politica che nella professione, sono sempre stato contrario alla pubblicità personale, alle raccomandazioni e naturalmente, nella circostanza, anche alle “spese elettorali”. Per me sarebbe motivo di forte imbarazzo pensare di ottenere qualsiasi incarico, pubblico o privato, perché “mi sono fatto pubblicità”, perché qualcuno ha visto un mio manifesto oppure perché ho chiesto qualsiasi tipo di aiuto, di protezione o di raccomandazione. Ognuno deve essere libero di comportarsi come vuole, ma per me queste sono cose senza senso. Forse perché c’è una grandissima differenza tra “amministrare” e “gestire il potere” e io appartengo alla prima categoria.</p>
<p style="text-align: justify">
Intendiamoci: manifesti e altro possono servire a informare i cittadini che Tizio e Caio sono candidati, ma pensare che raccogliere voti agghindandosi come un alberto di Natale per attirare l’attenzione è, semplicemente, fuori dal mio modo di essere e di agire.</p>
<p style="text-align: justify">
Per questo confermo che bilancio preventivo di spesa a cui il sottoscritto e la lista civica “Giancarlo Pagliarini per il federalismo” intendono vincolarsi allo stato attuale è di 3.000 euro, che saranno spesi prevalentemente per stampare un volumetto (titolo provvisorio “Noi della lista Giancarlo Pagliarini per il federalismo la pensiamo così”) nel quale descriviamo (con numeri!) la situazione del paese, e l’abc della necessaria riforma federale. La campagna elettorale sarà concentrata sulla descrizione dei vantaggi concreti (concretissimi!) per i milanesi di una autentica riforma federale.</p>
<p style="text-align: justify">
Mentre scrivo queste note sono ancora un “aspirante” candidato sindaco, come la Moratti, come Pisapia e come tutti gli altri amici. Se dopo i controlli delle commissioni la mia candidatura sarà ammessa forse riceverò qualche contributo finanziario: in questo caso spenderemo più di 3.000 euro e le nuove risorse saranno usate per 1) stampare e distribuire più copie del volumetto, 2) per RCM (la bellissima rete civica milanese) e 3) per rimborsare le spese (benzina ecc) degli amici che mi aiuteranno “a gratis” durante la campagna elettorale, e 4) per eventuali altri interventi: con internet, con la rete civica milanese. In questo i 48 candidati della lista “Giancarlo Pagliarini per il federalismo” sono molti più creativi ed esperti di me e ascolterò i loro saggi consigli. Ma ripeto: non mi piacciono le pubblicità personali e non sono disposto a vendere il mio modo di essere per un cadreghino.</p>
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Giancarlo Pagliarini</p>
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<strong>Ecco il testo del documento che la lista “Giancarlo Pagliarini per il federalismo” ha depositato in comune, come richiesto dalla legge 25 marzo 1993 n° 81</strong></p>
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L’articolo 30 della legge 25 marzo 1993 n 81 è intitolato “Pubblicità delle spese elettorali” ed è composto da due commi. Ecco cosa dice:</p>
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1. Salvo quanto stabilito dalla legge, gli statuti ed i regolamenti dei comuni con popolazione superiore a 10.000 abitanti e delle province disciplinano la dichiarazione preventiva ed il rendiconto delle spese per la campagna elettorale dei candidati e delle liste alle elezioni locali.</p>
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2. Nei comuni con popolazione superiore a 50.000 abitanti, il deposito delle liste o delle candidature deve comunque essere accompagnato dalla presentazione di un bilancio preventivo di spesa cui le liste ed i candidati intendono vincolarsi. Tale documento deve essere reso pubblico tramite affissione all’albo pretorio del comune. Allo stesso modo deve essere altresì reso pubblico, entro trenta giorni dal termine della campagna elettorale, il rendiconto delle spese dei candidati e delle liste.</p>
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Il 28 marzo il giornale “Leggo Milano” ha pubblicato un articolo di Giulia Salemi intitolato <em>“Corsa al voto. A un mese e mezzo dalle amministrative , ecco i budget dei partiti. Spese elettorali, la Moratti batte tutti. Dai 6 milioni del primo cittadino uscente ai 3.000 euro di Pagliarini”</em></p>
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Il mondo è bello perché è vario. Io, sia nella politica che nella professione, sono sempre stato contrario alla pubblicità personale, alle raccomandazioni e naturalmente, nella circostanza, anche alle “spese elettorali”. Per me sarebbe motivo di forte imbarazzo pensare di ottenere qualsiasi incarico, pubblico o privato, perché “mi sono fatto pubblicità”, perché qualcuno ha visto un mio manifesto oppure perché ho chiesto qualsiasi tipo di aiuto, di protezione o di raccomandazione. Ognuno deve essere libero di comportarsi come vuole, ma per me queste sono cose senza senso. Forse perché c’è una grandissima differenza tra “amministrare” e “gestire il potere” e io appartengo alla prima categoria.</p>
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Intendiamoci: manifesti e altro possono servire a informare i cittadini che Tizio e Caio sono candidati, ma pensare che raccogliere voti agghindandosi come un alberto di Natale per attirare l’attenzione è, semplicemente, fuori dal mio modo di essere e di agire.</p>
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Per questo confermo che bilancio preventivo di spesa a cui il sottoscritto e la lista civica “Giancarlo Pagliarini per il federalismo” intendono vincolarsi allo stato attuale è di 3.000 euro, che saranno spesi prevalentemente per stampare un volumetto (titolo provvisorio “Noi della lista Giancarlo Pagliarini per il federalismo la pensiamo così”) nel quale descriviamo (con numeri!) la situazione del paese, e l’abc della necessaria riforma federale. La campagna elettorale sarà concentrata sulla descrizione dei vantaggi concreti (concretissimi!) per i milanesi di una autentica riforma federale.</p>
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Mentre scrivo queste note sono ancora un “aspirante” candidato sindaco, come la Moratti, come Pisapia e come tutti gli altri amici. Se dopo i controlli delle commissioni la mia candidatura sarà ammessa forse riceverò qualche contributo finanziario: in questo caso spenderemo più di 3.000 euro e le nuove risorse saranno usate per 1) stampare e distribuire più copie del volumetto, 2) per RCM (la bellissima rete civica milanese) e 3) per rimborsare le spese (benzina ecc) degli amici che mi aiuteranno “a gratis” durante la campagna elettorale, e 4) per eventuali altri interventi: con internet, con la rete civica milanese. In questo i 48 candidati della lista “Giancarlo Pagliarini per il federalismo” sono molti più creativi ed esperti di me e ascolterò i loro saggi consigli. Ma ripeto: non mi piacciono le pubblicità personali e non sono disposto a vendere il mio modo di essere per un cadreghino.</p>
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Giancarlo Pagliarini</p>
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Basta con l'assurdo "muro contro muro" dei partiti politici2011-04-17T07:56:41+00:002011-04-17T07:56:41+00:00http://giancarlopagliarini.it/index.phpx/diario/giancarlo-pagliarini-informa/170-qamministrare-e-una-cosa-diversa-da-gestire-il-potereqCarlavartanush@gmail.com<p style="text-align: justify">
<span style="font-size: 14px"><strong>Dalle liste “Giancarlo Pagliarini per il federalismo” e “Lega Padana Lombardia”: amministrare è una cosa diversa da “gestire il potere".</strong><br />
<br />
Noi non “saremo” né della maggioranza né della opposizione dichiara Giancarlo Pagliarini. Saremo indipendenti e valuteremo i documenti sulla base del loro contenuto e non sulla base di chi li ha firmati o della parte politica che li ha presentati. </span></p>
<p style="text-align: justify">
<span style="font-size: 14px">La nostra prima proposta è che in Giunta, a governare, ci siano i rappresentanti della maggioranza e anche della minoranza: basta con l’assurdo «muro contro muro» dei partiti politici che blocca la nostra città<br />
</span><br />
<span style="display: none"> </span></p>
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<span style="font-size: 14px"><strong>Dalle liste “Giancarlo Pagliarini per il federalismo” e “Lega Padana Lombardia”: amministrare è una cosa diversa da “gestire il potere".</strong><br />
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Noi non “saremo” né della maggioranza né della opposizione dichiara Giancarlo Pagliarini. Saremo indipendenti e valuteremo i documenti sulla base del loro contenuto e non sulla base di chi li ha firmati o della parte politica che li ha presentati. </span></p>
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<span style="font-size: 14px">La nostra prima proposta è che in Giunta, a governare, ci siano i rappresentanti della maggioranza e anche della minoranza: basta con l’assurdo «muro contro muro» dei partiti politici che blocca la nostra città<br />
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Spese Elettorali, la Moratti batte tutti.2011-03-28T14:26:26+00:002011-03-28T14:26:26+00:00http://giancarlopagliarini.it/index.phpx/diario/giancarlo-pagliarini-informa/101-spese-elettorali-2011-su-leggo-milanoAdministratorstaff@tresoldi.net<h1 style="text-align: justify">
<span style="color: #ff0000">SPESE ELETTORALI: LA MORATTI BATTE TUTTI.</span></h1>
<h1 style="text-align: justify">
Corsa al voto. A un mese e mezzo dalle amministrative, ecco i Budget dei partiti. Dai 6 MILIONI del primo cittadino uscente ai 3000 euro di Pagliarini.</h1>
<p>
Per vincere le elezioni del 15 Maggio gli sfidanti in corsa per la poltrona di Sindaco, mettono in campo manifesti, spot televisivi, passaggi radiofonici, siti internet, ma anche aperitivi, feste e social network. Variano i budget a disposizione.</p>
<h2 style="text-align: justify">
<a href="images/spese_elettorali_la_moratti_batte_tutti1.pdf">Leggi tutto l'articolo</a></h2>
<h1 style="text-align: justify">
<span style="color: #ff0000">SPESE ELETTORALI: LA MORATTI BATTE TUTTI.</span></h1>
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Corsa al voto. A un mese e mezzo dalle amministrative, ecco i Budget dei partiti. Dai 6 MILIONI del primo cittadino uscente ai 3000 euro di Pagliarini.</h1>
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Per vincere le elezioni del 15 Maggio gli sfidanti in corsa per la poltrona di Sindaco, mettono in campo manifesti, spot televisivi, passaggi radiofonici, siti internet, ma anche aperitivi, feste e social network. Variano i budget a disposizione.</p>
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<a href="images/spese_elettorali_la_moratti_batte_tutti1.pdf">Leggi tutto l'articolo</a></h2>
Il 16 Aprile (ri)nasce l'unione federalista2011-03-17T00:23:31+00:002011-03-17T00:23:31+00:00http://giancarlopagliarini.it/index.phpx/diario/giancarlo-pagliarini-informa/89-il-16-aprile-rinasce-lunione-federalistaAdministratorstaff@tresoldi.net<p style="text-align: justify">
<span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif"><span style="font-size: 16pt">Invito a tutti gli amici e ai movimenti federalisti</span></span></p>
<p style="text-align: justify">
<em><span style="font-size: 10px"><span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif">Con preghiera di diffondere.</span></span></em></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify">
<span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif">Abbiamo sperato e continuiamo a sperare che un giorno sarà possibile cambiare la pessima organizzazione politica e istituzionale del nostro paese. </span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify">
<span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif">Anni fa, commentando un libro di Gianfranco Miglio, Marco Vitale scriveva: <em>“La Costituzione del 1948 è morta e sepolta dice Miglio con molti altri. Ed è un punto di partenza essenziale. Chiunque abbia l’onestà di guardare i <em>fatti per quello che sono ben difficilmente può negare questa evidenza… </em></em></span><span style="font-family: 'comic sans ms'"><em><span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif">La necessità di riformare profondamente l’assetto dello stato da pensiero di isolati intellettuali sta diventando consapevolezza comune…. Non vi è dubbio che il successo delle leghe sia anche manifestazione , sia pure confusa e contraddittoria, di questa spinta verso una nuova Costituzione… abbiamo bisogno di un pensiero politico-sociale contemporaneo e di istituzioni capaci di inserire, con un minimo di dignità, il Paese nel processo di mutamenti epocali in atto in tutto il mondo.” </span></em><span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif">(Una Costituzione per rifare l’Italia, sul Sole 24 Ore di Domenica 9 Dicembre 1990)</span></span></p>
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<span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif"><span style="font-size: 16pt">Invito a tutti gli amici e ai movimenti federalisti</span></span></p>
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<em><span style="font-size: 10px"><span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif">Con preghiera di diffondere.</span></span></em></p>
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<span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif">Abbiamo sperato e continuiamo a sperare che un giorno sarà possibile cambiare la pessima organizzazione politica e istituzionale del nostro paese. </span></p>
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<span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif">Anni fa, commentando un libro di Gianfranco Miglio, Marco Vitale scriveva: <em>“La Costituzione del 1948 è morta e sepolta dice Miglio con molti altri. Ed è un punto di partenza essenziale. Chiunque abbia l’onestà di guardare i <em>fatti per quello che sono ben difficilmente può negare questa evidenza… </em></em></span><span style="font-family: 'comic sans ms'"><em><span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif">La necessità di riformare profondamente l’assetto dello stato da pensiero di isolati intellettuali sta diventando consapevolezza comune…. Non vi è dubbio che il successo delle leghe sia anche manifestazione , sia pure confusa e contraddittoria, di questa spinta verso una nuova Costituzione… abbiamo bisogno di un pensiero politico-sociale contemporaneo e di istituzioni capaci di inserire, con un minimo di dignità, il Paese nel processo di mutamenti epocali in atto in tutto il mondo.” </span></em><span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif">(Una Costituzione per rifare l’Italia, sul Sole 24 Ore di Domenica 9 Dicembre 1990)</span></span></p>
Manuale della lista " Giancarlo Pagliarini per il Federalismo"2010-10-14T09:49:57+00:002010-10-14T09:49:57+00:00http://giancarlopagliarini.it/index.phpx/diario/giancarlo-pagliarini-informa/171-scarica-il-manuale-della-lista-q-giancarlo-pagliarini-per-il-federalismoqCarlavartanush@gmail.com<p>
<a href="images/manuale_giancarlo_pagliarini_per_il_federalismo__da_stamparenuovo.doc">Scarica il manuale</a></p>
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<a href="images/manuale_giancarlo_pagliarini_per_il_federalismo__da_stamparenuovo.doc">Scarica il manuale</a></p>
Novembre 2008: nasce l'Associazione per la riforma federale2008-11-21T00:47:36+00:002008-11-21T00:47:36+00:00http://giancarlopagliarini.it/index.phpx/diario/associazione-per-la-riforma-federaleAdministratorstaff@tresoldi.net<p style="text-align: justify">
<span style="font-family: times new roman, times, serif"><img alt="" src="images/foto fondaz associaz per la rif federale.bmp" style="border-bottom: 1px solid; border-left: 1px solid; margin: 5px; width: 300px; float: left; height: 225px; border-top: 1px solid; border-right: 1px solid" /></span><span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif">Il 21 Novembre 2008 a Milano nello studio del notaio Brienza abbiamo costituito <strong>l’Associazione Giancarlo Pagliarini per la riforma federale. </strong>Questa è una libera sintesi dell’<a href="images/allegato 2 atto costitutivo .pdf">atto costitutivo</a>.</span></p>
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<span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif"><strong>Premessa </strong><br />
I soci fondatori della <strong>“Associazione Giancarlo Pagliarini per la riforma federale”</strong> ritengono che il nostro Paese potrà uscire dalle difficoltà che lo attanagliano soltanto se farà un salto di qualità, adottando una vera Costituzione federale.</span></p>
<p style="text-align: justify">
<span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif">Questa riforma, che non ha nulla a che vedere con la legge delega per il recepimento dell’articolo 119 della Costituzione (delega utile e ben fatta, ma che malgrado il nome di “federalismo fiscale” non ha assolutamente nulla a che vedere con il federalismo) è necessaria e urgente perché la Repubblica italiana è sull’orlo del tracollo.<br />
<br />
Nel 1992 per poter pagare gli stipendi dei suoi dipendenti e trasferire all’INPS le risorse necessarie per pagare le pensioni, lo Stato ha dovuto prelevare soldi dai conti correnti dei cittadini. Dal 1992 a oggi non sono state fatte le necessarie riforme, salvo qualche insufficiente aggiustamento sulle pensioni. I costi, come sempre, sono stati posti a carico dei giovani e delle generazioni future.<br />
<br />
Adesso la situazione è molto peggiore del 1992. L’indice di povertà delle famiglie italiane continua a peggiorare e gli italiani sono sempre più poveri e meno competitivi.<br />
Eppure le caratteristiche intellettuali e culturali delle persone che risiedono nei confini della Repubblica non sono significativamente diverse da quelle dei nostri concittadini europei. Cultura e intelligenza non ci condannerebbero di certo: il nostro dramma è che il paese è organizzato male ed è ormai avvitato in un sistema di "irresponsabilità istituzionalizzata".<br />
<br />
Senza una vera riforma federale la Repubblica italiana è destinata "a colare a picco", <strong>preda dello squilibrio sempre più grave fra rendite politiche e rendite di mercato</strong>. E a rimanere alla periferia della storia e anche del semplice progresso civile. Kenichi Ohmae nel libro del 1994 La fine dello Stato-nazione affermava: "I governi nazionali tendono tuttora a considerare le differenze tra regione e regione in termini di tasso o modello di crescita come problemi destabilizzanti che occorre risolvere, anziché come opportunità da sfruttare. Non si preoccupano di come fare per aiutare le aree più fiorenti a progredire ulteriormente, bensì pensano a come spillarne denaro per finanziare il minimo civile.<br />
<br />
Si domandano se le politiche che hanno adottato siano le più adatte per controllare aggregazioni di attività economiche che seguono percorsi di crescita profondamente diversi. E si preoccupano di proteggere quelle attività contro gli effetti "deformanti" prodotti dalla circolazione di informazioni, capitali e competenze al di là dei confini nazionali. In realtà non sono queste le cose di cui ci si deve preoccupare. Concentrarsi unicamente su questi aspetti significa mirare soprattutto al mantenimento del controllo centrale, anche a costo di far colare a picco l’intero paese, anziché adoperarsi per permettere alle singole regioni di svilupparsi e, così facendo, di fornire l’energia, lo stimolo e il sostegno per coinvolgere anche le altre zone nel processo di crescita."<br />
<br />
La differenza, dunque, non è tra destra e sinistra ma tra statalisti e liberisti, <strong>tra centralisti e autentici federalisti</strong>: i danni generati negli ultimi tempi dai governi "statalisti" di destra e di sinistra sono sotto gli occhi di tutti.<br />
<br />
Sostituire periodicamente un governo centralista, statalista e di sinistra con la sua fotocopia centralista , statalista ma di destra è semplicemente inutile: per salvare la Repubblica italiana occorre una profonda riorganizzazione federale del paese. E’ necessaria una nuova Costituzione con la quale la Repubblica italiana diventi la Repubblica federale italiana.<br />
<br />
Ciò comporta il trasferimento sostanziale di sovranità dallo Stato centrale verso le entità federate. Questo trasferimento non deve avvenire su basi funzionali ma deve consistere in un vero e proprio frazionamento di sovranità, attuando un’autentica divisione del potere. In questi anni invece assistiamo a un mero “decentramento” che non divide affatto la sovranità. Si limita ad “alleggerirla” in alcune sue funzioni amministrative e finanziarie., ma mantiene un'unica , illogica, inefficiente e irrazionale fonte di potere centrale che rende ogni giorno meno competitivo il paese e ne prolunga l’agonia.<br />
<br />
Il paese invece ha bisogno di competizione. Competizione istituzionale e competizione economica. Serve la competizione delle idee, da cui dipende la nascita di soluzioni (anche politiche) innovative.<br />
<br />
La Costituzione del 1948 deve essere radicalmente riscritta, senza pudori e senza alcun riguardo per i santini, le icone e i sepolcri imbiancati: non esiste nessuna parte della Costituzione che debba essere considerata “intoccabile” ed eterna. Come ricordava spesso <strong>Thomas Jefferson: le mani dei morti non possono tracciare il cammino dei vivi</strong>. La nostra Costituzione altro non è che il documento di compromesso di un’area periferica del pianeta segnata dalla linea di demarcazione della Guerra Fredda e non avrebbe dovuto sopravvivere un secondo al crollo del muro di Berlino. Perché sono cambiati lo scenario e le esigenze. Perché è morta la cultura politica del cattolicesimo popolare e quella marxista, sul cui incontro si basa la Carta del 1948.<br />
<br />
La “Repubblica italiana” deve diventare la "Repubblica Federale italiana"; come ricordava Gianfranco Miglio, l’essenza di una costituzione federale non sta tanto nel numero di funzioni spostate nella “periferia”, quanto nella capacità delle unità territoriali (sovrane a tutti gli effetti sul proprio territorio, con competenze irrevocabili) di “resistere alla naturale tendenza espansiva del potere centrale". Al potere si resiste solo con il potere: le Regioni federate dovranno essere dotate dei più sofisticati strumenti costituzionali per opporsi validamente alle lusinghe o alle minacce di Roma”.<br />
<br />
Questo significa un respiro meno provinciale, una società più aperta. Più responsabilità, più efficienza, più concretezza e più competitività. Perché, sia detto con grande franchezza,<strong>il federalismo è l’organizzazione razionale di una società che ha non solo fatto la pace con l’economia di mercato, ma ha anche adottato una logica competitiva e concorrenziale</strong>.<br />
<br />
Più "accountability", vuol dire più trasparenza (anche contabile), il che equivale a sapere sempre “quanto costa e chi lo paga”. I conti chiari porteranno anche alla fine delle ideologie, le maschere attraverso le quali si formano le "caste" di politici e burocrati.<br />
<br />
E soprattutto meno intermediazione dello Stato e meno liti tra gli "addetti ai lavori” della politica . Il guaio è che per troppi "addetti ai lavori" è più importante gestire il potere che servire i cittadini. Questo è, in parte, frutto del sistema, che incentiva la discussione infinita anziché l’assunzione di responsabilità.<br />
<br />
I capisaldi sui quali, a giudizio dei soci fondatori della "Associazione Giancarlo Pagliarini per la riforma federale", si dovrà costruire il contratto federale della Repubblica federale italiana sono esposti qui di seguito. Il riferimento allo “<strong>Stato</strong>” è utilizzato per rendere più chiari i cambiamenti. Naturalmente quando l’Italia sarà una Repubblica federale lo Stato italiano sarà sostituito dalla <strong>Federazione</strong> italiana. <strong>Giacché uno Stato non potrà mai essere federale</strong>.<br />
<br />
<strong><u>Primo.</u> Ridurre il peso della "intermediazione" statale</strong>. Le Regioni e gli enti locali non dovranno aspettare in ginocchio di ricevere trasferimenti ed elemosine dallo Stato (dalla Federazione). I soldi delle tasse, infatti, non saranno più dello Stato, come dichiarano oggi gli statalisti, sia di destra che di sinistra quando affermano che "le tasse non sono a dimensione regionale ma nazionale". Dovrà essere vero il contrario: lo Stato (la Federazione) dovrà operare come fornitore di servizi ai cittadini. I soldi delle tasse saranno del territorio che ne trasferirà una parte allo Stato (alla Federazione) per comperarne i servizi: esercito, presidenza della Repubblica federale, Parlamento eccetera. I cittadini, a differenza di oggi, saranno più rispettati e diventeranno più consapevoli. Quando pagheranno per i servizi che ricevono dallo Stato (dalla Federazione) si chiederanno immediatamente se questi servizi ci sono e se valgono i soldi che stanno pagando. Così capiranno meglio, perché lo toccheranno con mano, se effettivamente stanno “comperando” servizi dallo Stato (dalla Federazione) oppure se con quei soldi stanno invece mantenendo le “caste” dei politici, dei burocrati, di quelli che non vogliono le liberalizzazioni e dei tanti altri mantenuti dalla collettività. Inoltre l’estensione dei servizi resi direttamente dallo Stato (dalla Federazione) sarà drasticamente ridotta, in quanto oggi il settore pubblico fornisce un’infinità di servizi che potrebbero essere offerti, con una qualità superiore e a un costo inferiore, dal mercato.<br />
<br />
<strong><u>Secondo</u>. Come tutti i fornitori anche lo Stato (la Federazione) , salvo pochissime attività, non potrà agire in regime di monopolio.</strong> Infatti senza concorrenza i suoi servizi (istruzione o sistema pensionistico, per esempio) non potranno che continuare a essere non sempre di buona qualità e insostenibilmente costosi. Con la riforma che proponiamo alcuni poteri, responsabilità e risorse finanziarie non saranno più, come oggi, di uno dei componenti della Repubblica (lo Stato), ma saranno di altri componenti (le Regioni e i Comuni). L’organizzazione della Repubblica sarà modificata e resa più responsabile e più efficiente. Alle tante “caste” del Paese questa proposta non va bene perché da sempre utilizzano lo Stato per gestire il potere. Questa proposta modifica la mappa del potere: lo toglie alle “caste” dei politici e dei burocrati e lo trasferisce più vicino ai cittadini. La ricetta che i fondatori della “Associazione Giancarlo Pagliarini per la riforma federale” propongono è, in breve: più concorrenza nei servizi pubblici; meno Stato nei mercati concorrenziali.<br />
<br />
<strong><u>Terzo</u>: la regola della parità</strong>. Lo Stato (la Federazione), le Regioni e i Comuni dovranno avere identica dignità. Sarà necessario identificare i compiti legislativi (la identificazione dei grandi principi) e i pochi compiti operativi (per esempio l’esercito) dello Stato (della Federazione) . Tutte le altre leggi e tutti gli altri compiti operativi dovranno essere responsabilità delle singole Regioni in concorrenza tra di loro.<br />
<br />
<strong><u>Quarto</u>. La competizione.</strong> Questo è il cuore della riforma: con questo principio si genera responsabilità ed efficienza. Abbiamo scritto che “tutte le altre leggi e tutti gli altri compiti operativi dovranno essere responsabilità delle singole Regioni in concorrenza tra di loro.” Questo riguarderà tutte le leggi di attuazione dei grandi principi presenti nella Costituzione e via via indicati dalle leggi dello Stato (della Federazione) . E riguarderà anche le tasse. Con le tasse nazionali si pagheranno i servizi dello Stato (della Federazione) e si metteranno risorse in un piatto comune per finanziare interventi finalizzati a ridurre la dipendenza di tutte le Regioni dal centro. Mai l’assistenzialismo. Tutte le altre tasse saranno stabilite e gestite dalle Regioni in concorrenza tra di loro. Questo è il principio della concorrenza fiscale tra le Regioni. Nelle Regioni dove si deciderà di dare direttamente tanti servizi ai residenti (cittadini, imprese, associazioni ecc) la pressione fiscale sarà ovviamente superiore alla pressione delle Regioni dove gli amministratori opereranno in modo più oculato, oppure decideranno di dare meno servizi, oppure sapranno coinvolgere in modo più intelligente ed economico di altre regioni i privati. Ferma restando la tutela dei diritti civili e sociali di tutti i cittadini, che non dovranno però essere finanziati col debito pubblico e fatti pagare alle generazioni future, come è stato fatto finora. Dovrà essere pubblicata la classifica della “pressione fiscale” nelle Regioni. <strong>Non sarà "caos" ma sarà gara a chi amministra meglio</strong>, a chi saprà applicare nel modo più efficace il principio di sussidiarietà, a chi riuscirà meglio a delegare, responsabilizzare e controllare. <strong>Sarà gara a dove la qualità della vita è migliore, a dove si attirano più investimenti e a dove c'è più sicurezza e meno ladri a piede libero</strong>. Inoltre, a differenza di quanto afferma la Costituzione attuale, dovrà essere consentito anche il ricorso allo strumento referendario (senza quorum) su decisioni di bilancio (prelievo e spesa), con effetto vincolante, per riportare al centro delle scelte il cittadino sovrano.<br />
<br />
<strong><u>Quinto</u>. Responsabilità.</strong> Quello che abbiamo descritto modificherà l’assetto della Repubblica e cancellerà finalmente il principio della “irresponsabilità istituzionalizzata” che ha caratterizzato per troppi anni la nostra vita pubblica, facendoci rotolare agli ultimi posti di tutti i più importanti confronti internazionali, dall’indice di libertà economiche della Heritage Foundation alla classifica di competitività del World Economic Forum. Non è mai colpa di nessuno e chi sbaglia non paga mai. <strong>Ecco perché non basta cambiare governi e membri del Parlamento: è necessaria una diversa organizzazione del paese.</strong><br />
<br />
<strong><u>Sesto</u>. Perequazione</strong>. La perequazione non si dovrà trasformare nella tomba dell’efficienza, dell’innovazione e della libera impresa. Ci sarà una tassa nazionale destinata a finanziare i fondi di perequazione che funzioneranno con forme di collaborazione verticale (con il centro) e orizzontale (tra le Regioni). Per la perequazione verticale dovrà essere individuato un indice per il rilevamento dei potenziali finanziari di risorse e imposte a livello regionale che consentirà di classificare le Regioni in forti e deboli. <strong>I calcoli saranno sempre effettuati sulla base del “potere d’acquisto”</strong> e saranno aggiustati con le stime dell’ evasione fiscale. Le Regioni deboli riceveranno dalle Regioni forti mezzi finanziari a destinazione non vincolata, in modo da garantire la piena sovranità regionale sulle spese e gli investimenti, realizzando così la perequazione orizzontale delle risorse; altrettanto farà lo Stato (la Federazione), realizzando in questo modo la perequazione verticale delle risorse. Così facendo saranno rispettate sia la sovranità regionale (principio fondamentale del federalismo) che la concorrenza fiscale tra le Regioni. Infine la compensazione degli oneri da parte dello Stato (da parte della Federazione) permetterà di indennizzare gli oneri strutturali cui le Regioni (tanto quelle forti che quelle deboli) devono far fronte e su cui non possono influire (come le condizioni orografiche o particolari condizioni demografiche).<br />
<br />
<strong><u>Settimo</u>. Trasparenza.</strong> E’ un punto cruciale, un altro tratto saliente del federalismo. E’ fondamentale che i cittadini siano informati, consapevoli e convinti. La trasparenza dovrà essere uno dei principi cardini della nuova costituzione federale.<br />
<br />
Sette punti, per una profonda rivoluzione del Paese che finalmente trasformi le diversità del nostro territorio in uno straordinario vantaggio competitivo nel mondo globalizzato: perché questo progetto si trasformi in una scelta culturale e successivamente in una più consapevole scelta politica abbiamo costituito la “Associazione Giancarlo Pagliarini per la riforma federale”. Poiché la riforma federale non è né di destra, né di sinistra, i soci fondatori hanno dichiarato che nessuno di essi, all’atto della costituzione dell’associazione, risulta iscritto ad alcun partito (Articolo 6 dello Statuto). E, tuttavia, come diceva spesso Gianfranco Miglio: “<strong>farei un patto anche col diavolo pur di ottenere un assetto federale di governo”</strong>.<br />
<br />
L'associazione non ha limiti di tempo e si scioglierà quando la Repubblica italiana si trasformerà in una Repubblica Federale<br />
<br />
A livello accademico, divulgativo e politico l’Associazione tratterà i temi delle riforme finalizzate alle realizzazione della Repubblica Federale italiana e dell’Europa dei popoli e di conseguenza i temi, strettamente connessi, della globalizzazione, del mercato, della società aperta e dei diritti individuali.<br />
<br />
Si attiverà per la costituzione di comitati e gruppi di lavoro che agiranno secondo specifici settori di competenza, svolgendo anche opera di sensibilizzazione dei pubblici poteri. Istituirà borse di studio per finanziare ricerche. Potrà decidere di federarsi con altre associazioni ed anche con uno o più partiti politici che condividano gli obiettivi e lo schema descritto nella premessa.<br />
<br />
Per il primo triennio, il Consiglio Direttivo ha eletto:</span></p>
<p style="text-align: justify">
<span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif">- ALESSANDRO VITALE, Presidente;<br />
- LUIGI MARCO BASSANI, Vice Presidente;<br />
- GIANCARLO PAGLIARINI, Segretario;<br />
- CHIARA MARIA BATTISTONI, Tesoriere</span></p>
<p style="text-align: justify">
<br />
<span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif"><strong>Soci fondatori</strong>: Luigi Marco Bassani, Chiara Maria Battistoni, Giancarlo Pagliarini, Alessandro Vitale<br />
<strong>Soci onorari</strong>: Francesco Tabladini, Carlo Stagnaro, Carlo Lottieri </span></p>
<p>
</p>
<p style="text-align: justify">
<span style="font-family: times new roman, times, serif"><img alt="" src="images/foto fondaz associaz per la rif federale.bmp" style="border-bottom: 1px solid; border-left: 1px solid; margin: 5px; width: 300px; float: left; height: 225px; border-top: 1px solid; border-right: 1px solid" /></span><span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif">Il 21 Novembre 2008 a Milano nello studio del notaio Brienza abbiamo costituito <strong>l’Associazione Giancarlo Pagliarini per la riforma federale. </strong>Questa è una libera sintesi dell’<a href="images/allegato 2 atto costitutivo .pdf">atto costitutivo</a>.</span></p>
<p style="text-align: justify">
</p>
<p style="text-align: justify">
<span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif"><strong>Premessa </strong><br />
I soci fondatori della <strong>“Associazione Giancarlo Pagliarini per la riforma federale”</strong> ritengono che il nostro Paese potrà uscire dalle difficoltà che lo attanagliano soltanto se farà un salto di qualità, adottando una vera Costituzione federale.</span></p>
<p style="text-align: justify">
<span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif">Questa riforma, che non ha nulla a che vedere con la legge delega per il recepimento dell’articolo 119 della Costituzione (delega utile e ben fatta, ma che malgrado il nome di “federalismo fiscale” non ha assolutamente nulla a che vedere con il federalismo) è necessaria e urgente perché la Repubblica italiana è sull’orlo del tracollo.<br />
<br />
Nel 1992 per poter pagare gli stipendi dei suoi dipendenti e trasferire all’INPS le risorse necessarie per pagare le pensioni, lo Stato ha dovuto prelevare soldi dai conti correnti dei cittadini. Dal 1992 a oggi non sono state fatte le necessarie riforme, salvo qualche insufficiente aggiustamento sulle pensioni. I costi, come sempre, sono stati posti a carico dei giovani e delle generazioni future.<br />
<br />
Adesso la situazione è molto peggiore del 1992. L’indice di povertà delle famiglie italiane continua a peggiorare e gli italiani sono sempre più poveri e meno competitivi.<br />
Eppure le caratteristiche intellettuali e culturali delle persone che risiedono nei confini della Repubblica non sono significativamente diverse da quelle dei nostri concittadini europei. Cultura e intelligenza non ci condannerebbero di certo: il nostro dramma è che il paese è organizzato male ed è ormai avvitato in un sistema di "irresponsabilità istituzionalizzata".<br />
<br />
Senza una vera riforma federale la Repubblica italiana è destinata "a colare a picco", <strong>preda dello squilibrio sempre più grave fra rendite politiche e rendite di mercato</strong>. E a rimanere alla periferia della storia e anche del semplice progresso civile. Kenichi Ohmae nel libro del 1994 La fine dello Stato-nazione affermava: "I governi nazionali tendono tuttora a considerare le differenze tra regione e regione in termini di tasso o modello di crescita come problemi destabilizzanti che occorre risolvere, anziché come opportunità da sfruttare. Non si preoccupano di come fare per aiutare le aree più fiorenti a progredire ulteriormente, bensì pensano a come spillarne denaro per finanziare il minimo civile.<br />
<br />
Si domandano se le politiche che hanno adottato siano le più adatte per controllare aggregazioni di attività economiche che seguono percorsi di crescita profondamente diversi. E si preoccupano di proteggere quelle attività contro gli effetti "deformanti" prodotti dalla circolazione di informazioni, capitali e competenze al di là dei confini nazionali. In realtà non sono queste le cose di cui ci si deve preoccupare. Concentrarsi unicamente su questi aspetti significa mirare soprattutto al mantenimento del controllo centrale, anche a costo di far colare a picco l’intero paese, anziché adoperarsi per permettere alle singole regioni di svilupparsi e, così facendo, di fornire l’energia, lo stimolo e il sostegno per coinvolgere anche le altre zone nel processo di crescita."<br />
<br />
La differenza, dunque, non è tra destra e sinistra ma tra statalisti e liberisti, <strong>tra centralisti e autentici federalisti</strong>: i danni generati negli ultimi tempi dai governi "statalisti" di destra e di sinistra sono sotto gli occhi di tutti.<br />
<br />
Sostituire periodicamente un governo centralista, statalista e di sinistra con la sua fotocopia centralista , statalista ma di destra è semplicemente inutile: per salvare la Repubblica italiana occorre una profonda riorganizzazione federale del paese. E’ necessaria una nuova Costituzione con la quale la Repubblica italiana diventi la Repubblica federale italiana.<br />
<br />
Ciò comporta il trasferimento sostanziale di sovranità dallo Stato centrale verso le entità federate. Questo trasferimento non deve avvenire su basi funzionali ma deve consistere in un vero e proprio frazionamento di sovranità, attuando un’autentica divisione del potere. In questi anni invece assistiamo a un mero “decentramento” che non divide affatto la sovranità. Si limita ad “alleggerirla” in alcune sue funzioni amministrative e finanziarie., ma mantiene un'unica , illogica, inefficiente e irrazionale fonte di potere centrale che rende ogni giorno meno competitivo il paese e ne prolunga l’agonia.<br />
<br />
Il paese invece ha bisogno di competizione. Competizione istituzionale e competizione economica. Serve la competizione delle idee, da cui dipende la nascita di soluzioni (anche politiche) innovative.<br />
<br />
La Costituzione del 1948 deve essere radicalmente riscritta, senza pudori e senza alcun riguardo per i santini, le icone e i sepolcri imbiancati: non esiste nessuna parte della Costituzione che debba essere considerata “intoccabile” ed eterna. Come ricordava spesso <strong>Thomas Jefferson: le mani dei morti non possono tracciare il cammino dei vivi</strong>. La nostra Costituzione altro non è che il documento di compromesso di un’area periferica del pianeta segnata dalla linea di demarcazione della Guerra Fredda e non avrebbe dovuto sopravvivere un secondo al crollo del muro di Berlino. Perché sono cambiati lo scenario e le esigenze. Perché è morta la cultura politica del cattolicesimo popolare e quella marxista, sul cui incontro si basa la Carta del 1948.<br />
<br />
La “Repubblica italiana” deve diventare la "Repubblica Federale italiana"; come ricordava Gianfranco Miglio, l’essenza di una costituzione federale non sta tanto nel numero di funzioni spostate nella “periferia”, quanto nella capacità delle unità territoriali (sovrane a tutti gli effetti sul proprio territorio, con competenze irrevocabili) di “resistere alla naturale tendenza espansiva del potere centrale". Al potere si resiste solo con il potere: le Regioni federate dovranno essere dotate dei più sofisticati strumenti costituzionali per opporsi validamente alle lusinghe o alle minacce di Roma”.<br />
<br />
Questo significa un respiro meno provinciale, una società più aperta. Più responsabilità, più efficienza, più concretezza e più competitività. Perché, sia detto con grande franchezza,<strong>il federalismo è l’organizzazione razionale di una società che ha non solo fatto la pace con l’economia di mercato, ma ha anche adottato una logica competitiva e concorrenziale</strong>.<br />
<br />
Più "accountability", vuol dire più trasparenza (anche contabile), il che equivale a sapere sempre “quanto costa e chi lo paga”. I conti chiari porteranno anche alla fine delle ideologie, le maschere attraverso le quali si formano le "caste" di politici e burocrati.<br />
<br />
E soprattutto meno intermediazione dello Stato e meno liti tra gli "addetti ai lavori” della politica . Il guaio è che per troppi "addetti ai lavori" è più importante gestire il potere che servire i cittadini. Questo è, in parte, frutto del sistema, che incentiva la discussione infinita anziché l’assunzione di responsabilità.<br />
<br />
I capisaldi sui quali, a giudizio dei soci fondatori della "Associazione Giancarlo Pagliarini per la riforma federale", si dovrà costruire il contratto federale della Repubblica federale italiana sono esposti qui di seguito. Il riferimento allo “<strong>Stato</strong>” è utilizzato per rendere più chiari i cambiamenti. Naturalmente quando l’Italia sarà una Repubblica federale lo Stato italiano sarà sostituito dalla <strong>Federazione</strong> italiana. <strong>Giacché uno Stato non potrà mai essere federale</strong>.<br />
<br />
<strong><u>Primo.</u> Ridurre il peso della "intermediazione" statale</strong>. Le Regioni e gli enti locali non dovranno aspettare in ginocchio di ricevere trasferimenti ed elemosine dallo Stato (dalla Federazione). I soldi delle tasse, infatti, non saranno più dello Stato, come dichiarano oggi gli statalisti, sia di destra che di sinistra quando affermano che "le tasse non sono a dimensione regionale ma nazionale". Dovrà essere vero il contrario: lo Stato (la Federazione) dovrà operare come fornitore di servizi ai cittadini. I soldi delle tasse saranno del territorio che ne trasferirà una parte allo Stato (alla Federazione) per comperarne i servizi: esercito, presidenza della Repubblica federale, Parlamento eccetera. I cittadini, a differenza di oggi, saranno più rispettati e diventeranno più consapevoli. Quando pagheranno per i servizi che ricevono dallo Stato (dalla Federazione) si chiederanno immediatamente se questi servizi ci sono e se valgono i soldi che stanno pagando. Così capiranno meglio, perché lo toccheranno con mano, se effettivamente stanno “comperando” servizi dallo Stato (dalla Federazione) oppure se con quei soldi stanno invece mantenendo le “caste” dei politici, dei burocrati, di quelli che non vogliono le liberalizzazioni e dei tanti altri mantenuti dalla collettività. Inoltre l’estensione dei servizi resi direttamente dallo Stato (dalla Federazione) sarà drasticamente ridotta, in quanto oggi il settore pubblico fornisce un’infinità di servizi che potrebbero essere offerti, con una qualità superiore e a un costo inferiore, dal mercato.<br />
<br />
<strong><u>Secondo</u>. Come tutti i fornitori anche lo Stato (la Federazione) , salvo pochissime attività, non potrà agire in regime di monopolio.</strong> Infatti senza concorrenza i suoi servizi (istruzione o sistema pensionistico, per esempio) non potranno che continuare a essere non sempre di buona qualità e insostenibilmente costosi. Con la riforma che proponiamo alcuni poteri, responsabilità e risorse finanziarie non saranno più, come oggi, di uno dei componenti della Repubblica (lo Stato), ma saranno di altri componenti (le Regioni e i Comuni). L’organizzazione della Repubblica sarà modificata e resa più responsabile e più efficiente. Alle tante “caste” del Paese questa proposta non va bene perché da sempre utilizzano lo Stato per gestire il potere. Questa proposta modifica la mappa del potere: lo toglie alle “caste” dei politici e dei burocrati e lo trasferisce più vicino ai cittadini. La ricetta che i fondatori della “Associazione Giancarlo Pagliarini per la riforma federale” propongono è, in breve: più concorrenza nei servizi pubblici; meno Stato nei mercati concorrenziali.<br />
<br />
<strong><u>Terzo</u>: la regola della parità</strong>. Lo Stato (la Federazione), le Regioni e i Comuni dovranno avere identica dignità. Sarà necessario identificare i compiti legislativi (la identificazione dei grandi principi) e i pochi compiti operativi (per esempio l’esercito) dello Stato (della Federazione) . Tutte le altre leggi e tutti gli altri compiti operativi dovranno essere responsabilità delle singole Regioni in concorrenza tra di loro.<br />
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<strong><u>Quarto</u>. La competizione.</strong> Questo è il cuore della riforma: con questo principio si genera responsabilità ed efficienza. Abbiamo scritto che “tutte le altre leggi e tutti gli altri compiti operativi dovranno essere responsabilità delle singole Regioni in concorrenza tra di loro.” Questo riguarderà tutte le leggi di attuazione dei grandi principi presenti nella Costituzione e via via indicati dalle leggi dello Stato (della Federazione) . E riguarderà anche le tasse. Con le tasse nazionali si pagheranno i servizi dello Stato (della Federazione) e si metteranno risorse in un piatto comune per finanziare interventi finalizzati a ridurre la dipendenza di tutte le Regioni dal centro. Mai l’assistenzialismo. Tutte le altre tasse saranno stabilite e gestite dalle Regioni in concorrenza tra di loro. Questo è il principio della concorrenza fiscale tra le Regioni. Nelle Regioni dove si deciderà di dare direttamente tanti servizi ai residenti (cittadini, imprese, associazioni ecc) la pressione fiscale sarà ovviamente superiore alla pressione delle Regioni dove gli amministratori opereranno in modo più oculato, oppure decideranno di dare meno servizi, oppure sapranno coinvolgere in modo più intelligente ed economico di altre regioni i privati. Ferma restando la tutela dei diritti civili e sociali di tutti i cittadini, che non dovranno però essere finanziati col debito pubblico e fatti pagare alle generazioni future, come è stato fatto finora. Dovrà essere pubblicata la classifica della “pressione fiscale” nelle Regioni. <strong>Non sarà "caos" ma sarà gara a chi amministra meglio</strong>, a chi saprà applicare nel modo più efficace il principio di sussidiarietà, a chi riuscirà meglio a delegare, responsabilizzare e controllare. <strong>Sarà gara a dove la qualità della vita è migliore, a dove si attirano più investimenti e a dove c'è più sicurezza e meno ladri a piede libero</strong>. Inoltre, a differenza di quanto afferma la Costituzione attuale, dovrà essere consentito anche il ricorso allo strumento referendario (senza quorum) su decisioni di bilancio (prelievo e spesa), con effetto vincolante, per riportare al centro delle scelte il cittadino sovrano.<br />
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<strong><u>Quinto</u>. Responsabilità.</strong> Quello che abbiamo descritto modificherà l’assetto della Repubblica e cancellerà finalmente il principio della “irresponsabilità istituzionalizzata” che ha caratterizzato per troppi anni la nostra vita pubblica, facendoci rotolare agli ultimi posti di tutti i più importanti confronti internazionali, dall’indice di libertà economiche della Heritage Foundation alla classifica di competitività del World Economic Forum. Non è mai colpa di nessuno e chi sbaglia non paga mai. <strong>Ecco perché non basta cambiare governi e membri del Parlamento: è necessaria una diversa organizzazione del paese.</strong><br />
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<strong><u>Sesto</u>. Perequazione</strong>. La perequazione non si dovrà trasformare nella tomba dell’efficienza, dell’innovazione e della libera impresa. Ci sarà una tassa nazionale destinata a finanziare i fondi di perequazione che funzioneranno con forme di collaborazione verticale (con il centro) e orizzontale (tra le Regioni). Per la perequazione verticale dovrà essere individuato un indice per il rilevamento dei potenziali finanziari di risorse e imposte a livello regionale che consentirà di classificare le Regioni in forti e deboli. <strong>I calcoli saranno sempre effettuati sulla base del “potere d’acquisto”</strong> e saranno aggiustati con le stime dell’ evasione fiscale. Le Regioni deboli riceveranno dalle Regioni forti mezzi finanziari a destinazione non vincolata, in modo da garantire la piena sovranità regionale sulle spese e gli investimenti, realizzando così la perequazione orizzontale delle risorse; altrettanto farà lo Stato (la Federazione), realizzando in questo modo la perequazione verticale delle risorse. Così facendo saranno rispettate sia la sovranità regionale (principio fondamentale del federalismo) che la concorrenza fiscale tra le Regioni. Infine la compensazione degli oneri da parte dello Stato (da parte della Federazione) permetterà di indennizzare gli oneri strutturali cui le Regioni (tanto quelle forti che quelle deboli) devono far fronte e su cui non possono influire (come le condizioni orografiche o particolari condizioni demografiche).<br />
<br />
<strong><u>Settimo</u>. Trasparenza.</strong> E’ un punto cruciale, un altro tratto saliente del federalismo. E’ fondamentale che i cittadini siano informati, consapevoli e convinti. La trasparenza dovrà essere uno dei principi cardini della nuova costituzione federale.<br />
<br />
Sette punti, per una profonda rivoluzione del Paese che finalmente trasformi le diversità del nostro territorio in uno straordinario vantaggio competitivo nel mondo globalizzato: perché questo progetto si trasformi in una scelta culturale e successivamente in una più consapevole scelta politica abbiamo costituito la “Associazione Giancarlo Pagliarini per la riforma federale”. Poiché la riforma federale non è né di destra, né di sinistra, i soci fondatori hanno dichiarato che nessuno di essi, all’atto della costituzione dell’associazione, risulta iscritto ad alcun partito (Articolo 6 dello Statuto). E, tuttavia, come diceva spesso Gianfranco Miglio: “<strong>farei un patto anche col diavolo pur di ottenere un assetto federale di governo”</strong>.<br />
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L'associazione non ha limiti di tempo e si scioglierà quando la Repubblica italiana si trasformerà in una Repubblica Federale<br />
<br />
A livello accademico, divulgativo e politico l’Associazione tratterà i temi delle riforme finalizzate alle realizzazione della Repubblica Federale italiana e dell’Europa dei popoli e di conseguenza i temi, strettamente connessi, della globalizzazione, del mercato, della società aperta e dei diritti individuali.<br />
<br />
Si attiverà per la costituzione di comitati e gruppi di lavoro che agiranno secondo specifici settori di competenza, svolgendo anche opera di sensibilizzazione dei pubblici poteri. Istituirà borse di studio per finanziare ricerche. Potrà decidere di federarsi con altre associazioni ed anche con uno o più partiti politici che condividano gli obiettivi e lo schema descritto nella premessa.<br />
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Per il primo triennio, il Consiglio Direttivo ha eletto:</span></p>
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<span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif">- ALESSANDRO VITALE, Presidente;<br />
- LUIGI MARCO BASSANI, Vice Presidente;<br />
- GIANCARLO PAGLIARINI, Segretario;<br />
- CHIARA MARIA BATTISTONI, Tesoriere</span></p>
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<span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif"><strong>Soci fondatori</strong>: Luigi Marco Bassani, Chiara Maria Battistoni, Giancarlo Pagliarini, Alessandro Vitale<br />
<strong>Soci onorari</strong>: Francesco Tabladini, Carlo Stagnaro, Carlo Lottieri </span></p>
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11 Novembre 2011 Gli anni sprecati2011-11-11T10:37:50+00:002011-11-11T10:37:50+00:00http://giancarlopagliarini.it/index.phpx/diario/se-femm-incoeu/267-11-novembre-2011-gli-anni-sprecatiPagliainfo@giancarlopagliarini.it<p>
(11 Novembre 2011) Vedo quello che sta succedendo in questi giorni, dichiaro che questa situazione era prevista e prevedibile, ricordo quello che avevo scritto nella “relazione di minoranza” alla legge finanziaria per il 1998 (7 Dicembre 1997) : da allora i signori della casta hanno buttato via 14 anni (14!!!) con liti e chiacchere inutili. <br />
(pagina 3) …. i numeri non sono né di destra né di sinistra. E i numeri e le statistiche dimostrano che in questa Italia non investe più nessuno. E se non si investe non c'é sviluppo. E se non c'é sviluppo ci sarà sempre meno lavoro. Altro che 35 ore alla settimana : qui stiamo andando verso zero ore di lavoro all’anno, ve ne rendete conto? E non é difficile immaginare le conseguenze : prima non verrà rimborsato il debito pubblico. Poi non saranno pagate le pensioni. E dopo? Signori Deputati della Repubblica italiana, questa é la situazione, e non rendersene conto, non dire la verità ai cittadini, non fare niente per correre ai ripari, non è onesto….</p>
<p>
<a href="images/Uploads/Files/2 copertina.jpg" target="_blank">Copertina del fascicolo di Montecitorio</a></p>
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<a href="images/Uploads/Files/relazione di minoranza 1977.doc" target="_blank">Testo della relazione di minoranza del 7 Dicembre 1997</a></p>
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(11 Novembre 2011) Vedo quello che sta succedendo in questi giorni, dichiaro che questa situazione era prevista e prevedibile, ricordo quello che avevo scritto nella “relazione di minoranza” alla legge finanziaria per il 1998 (7 Dicembre 1997) : da allora i signori della casta hanno buttato via 14 anni (14!!!) con liti e chiacchere inutili. <br />
(pagina 3) …. i numeri non sono né di destra né di sinistra. E i numeri e le statistiche dimostrano che in questa Italia non investe più nessuno. E se non si investe non c'é sviluppo. E se non c'é sviluppo ci sarà sempre meno lavoro. Altro che 35 ore alla settimana : qui stiamo andando verso zero ore di lavoro all’anno, ve ne rendete conto? E non é difficile immaginare le conseguenze : prima non verrà rimborsato il debito pubblico. Poi non saranno pagate le pensioni. E dopo? Signori Deputati della Repubblica italiana, questa é la situazione, e non rendersene conto, non dire la verità ai cittadini, non fare niente per correre ai ripari, non è onesto….</p>
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<a href="images/Uploads/Files/2 copertina.jpg" target="_blank">Copertina del fascicolo di Montecitorio</a></p>
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<a href="images/Uploads/Files/relazione di minoranza 1977.doc" target="_blank">Testo della relazione di minoranza del 7 Dicembre 1997</a></p>
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Ultime Notizie2011-04-30T16:11:59+00:002011-04-30T16:11:59+00:00http://giancarlopagliarini.it/index.phpx/diario/se-femm-incoeu/262-ultime-notizieAdministratorstaff@tresoldi.net<div class="titoletto_A_Small">
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<div style="text-align: justify;">
<img class="trafiletto_img3" src="images/Uploads/Img/mimmo4.jpg" style="padding: 3px; border: 0px solid currentcolor; width: 275px; height: 101px; float: left;" /> <em>(4 Luglio 2012) </em>Vedo quello che sta succedendo in questi giorni, dichiaro che questa situazione era prevista e prevedibile, ricordo quello che avevo scritto nella “relazione di minoranza” alla legge finanziaria per il 1998 (7 Dicembre 1997) : da allora i signori della casta hanno buttato via 15 anni (15!!!) con liti e chiacchere inutili.
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(Pagina 3 della mia relazione di minoranza alla legge finanziaria. 7 Dicembre 1997)<em>…. i numeri non sono né di destra né di sinistra. E i numeri e le statistiche dimostrano che in questa Italia non investe più nessuno. E se non si investe non c'é sviluppo. E se non c'é sviluppo ci sarà sempre meno lavoro. Altro che 35 ore alla settimana : qui stiamo andando verso zero ore di lavoro all’anno, ve ne rendete conto? E non é difficile immaginare le conseguenze : prima non verrà rimborsato il debito pubblico. Poi non saranno pagate le pensioni. E dopo? Signori Deputati della Repubblica italiana, questa é la situazione, e non rendersene conto, non dire la verità ai cittadini, non fare niente per correre ai ripari, non è onesto….</em></p>
<p>
Il testo completo di quella relazione lo trovate qui sotto, nella sezione Diario</p>
<a href="images/incontripubblici/copetina della dispensa per cesate aprile 26.jpg"><strong><span style="display: none;"> </span></strong></a> <a href="http://www.giancarlopagliarini.it/index.phpx/diario/se-femm-incoeu">Diario: Ultime Notizie</a></div>
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<div style="text-align: justify;">
<img class="trafiletto_img3" src="images/Uploads/Img/mimmo4.jpg" style="padding: 3px; border: 0px solid currentcolor; width: 275px; height: 101px; float: left;" /> <em>(4 Luglio 2012) </em>Vedo quello che sta succedendo in questi giorni, dichiaro che questa situazione era prevista e prevedibile, ricordo quello che avevo scritto nella “relazione di minoranza” alla legge finanziaria per il 1998 (7 Dicembre 1997) : da allora i signori della casta hanno buttato via 15 anni (15!!!) con liti e chiacchere inutili.
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(Pagina 3 della mia relazione di minoranza alla legge finanziaria. 7 Dicembre 1997)<em>…. i numeri non sono né di destra né di sinistra. E i numeri e le statistiche dimostrano che in questa Italia non investe più nessuno. E se non si investe non c'é sviluppo. E se non c'é sviluppo ci sarà sempre meno lavoro. Altro che 35 ore alla settimana : qui stiamo andando verso zero ore di lavoro all’anno, ve ne rendete conto? E non é difficile immaginare le conseguenze : prima non verrà rimborsato il debito pubblico. Poi non saranno pagate le pensioni. E dopo? Signori Deputati della Repubblica italiana, questa é la situazione, e non rendersene conto, non dire la verità ai cittadini, non fare niente per correre ai ripari, non è onesto….</em></p>
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Il testo completo di quella relazione lo trovate qui sotto, nella sezione Diario</p>
<a href="images/incontripubblici/copetina della dispensa per cesate aprile 26.jpg"><strong><span style="display: none;"> </span></strong></a> <a href="http://www.giancarlopagliarini.it/index.phpx/diario/se-femm-incoeu">Diario: Ultime Notizie</a></div>
27 Aprile. Einaudi il 17 Luglio 1944 dalla Svizzera2011-04-27T19:56:05+00:002011-04-27T19:56:05+00:00http://giancarlopagliarini.it/index.phpx/diario/se-femm-incoeu/261-27-aprile-einaudi-il-17-luglio-1944-dalla-svizzeraPagliainfo@giancarlopagliarini.it<p align="center">
<strong>Luigi Einaudi</strong></p>
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Via il Prefetto !<br />
(1944)</p>
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<u>Nota</u><br />
Luigi Einaudi analizza la realtà accentratrice dello stato italiano, modellato (in versione corretta e peggiorata) su quello francese, e propone l'abolizione dei prefetti. Un provvedimento indispensabile che i "rivoluzionari" di casa nostra non hanno mai preso in considerazione.</p>
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Proporre, in Italia ed in qualche altro paese di Europa, di abolire il « prefetto » sembra stravaganza degna di manicomio. Istituzione veneranda, venuta a noi dalla notte dei tempi, il prefetto è quasi sinonimo di governo e, lui scomparso, sembra non esistere più nulla. Chi comanda e chi esegue fuor dalla capitale? Come opera l'amministrazione pubblica? In verità, il prefetto è una lue che fu inoculata nel corpo politico italiano da Napoleone. Gli antichi governi erano, prima della rivoluzione francese, assoluti solo di nome, e di fatto vincolati d'ogni parte, dai senati e dalle camere dei conti o magistrati camerali, gelosissimi del loro potere di rifiutare la registrazione degli editti che, se non registrati, non contavano nulla, dai corpi locali privilegiati, auto-eletti per cooptazione dei membri in carica, dai patti antichi di infeudazione, di dedizione e di annessione, dalle consuetudini immemorabili. Gli stati italiani governavano entro i limiti posti dalle « libertà » locali, territoriali e professionali. Spesso « le libertà » municipali e regionali erano « privilegi » di ceti, di nobili, di corporazioni artigiane ed erano dannose all'universale. Nella furia di strappare i privilegi, la rivoluzione francese distrusse, continuando l'opera iniziata dai Borboni, le libertà locali; e Napoleone, dittatore all'interno, amante dell'ordine, sospettoso, come tutti i tiranni, di ogni forza indipendente, spirituale o temporale, perfezionò l'opera. I governi restaurati trovarono comodo di non restaurare, se non di nome, gli antichi corpi limitatori e conservarono il prefetto napoleonico. L'Italia nuova, preoccupata di rinsaldare le membra disiecta degli antichi ex-stati in un corpo unico, immaginò che il federalismo fosse il nemico ed estese il sistema prefettizio anche a quelle parti d'ltalia, come le province ex-austriache, nelle quali la lue erasi infiltrata con manifestazioni attenuate. Si credette di instaurare libertà e democrazia e si foggiò lo strumento della dittatura.</p>
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<span face="">Democrazia e prefetto repugnano profondamente l'una all'altro. Né in ltalia, né in Francia, né in Spagna, né in Prussia si ebbe mai e non si avrà mai democrazia, finché esisterà il tipo di governo accentrato, del quale è simbolo il prefetto. Coloro i quali parlano di democrazia e di costituente e di volontà popolare e di autodecisione e non si accorgono del prefetto, non sanno quel che si dicono. Elezioni, libertà di scelta dei rappresentanti, camere, parlamenti, costituenti, ministri responsabili sono una lugubre farsa nei paesi a governo accentrato del tipo napoleonico. Gli uomini di stato anglo-sassoni, i quali invitano i popoli europei a scegliersi la forma di governo da essi preferita, trasportano inconsciamente parole e pensieri propri dei loro paesi a paesi nei quali le medesime parole hanno un significato del tutto diverso. Forse i soli europei del continente, i quali sentendo quelle parole le intendono nel loro significato vero sono, insieme con gli scandinavi, gli svizzeri; e questi non hanno nulla da imparare, perché quelle parole sentono profondamente da sette secoli. Essi sanno che la democrazia comincia dal comune, che è cosa dei cittadini, i quali non solo eleggono i loro consiglieri e sindaci o presidenti o borgomastri, ma da sé, senza intervento e tutela e comando di gente posta fuori del comune od a questo sovrapposta, se lo amministrano, se lo mandano in malora o lo fanno prosperare. L'auto-governo continua nel cantone, il quale e un vero stato, il quale da sé si fa le sue leggi, se le vota nel suo parlamento e le applica per mezzo dei propri consiglieri di stato, senza uopo di ottenere approvazioni da Berna; e Berna, ossia il governo federale, a sua volta, per le cose di sua competenza, ha un parlamento per deliberare le leggi sue proprie ed un consiglio federale per applicarle ed amministrarle. E tutti questi consessi ed i 25 cantoni e mezzi cantoni e la confederazione hanno così numerosissimi legislatori e centinaia di ministri, grossi e piccoli, tutti eletti, ognuno dei quali attende alle cose proprie, senza vedersi mai tra i piedi il prefetto, ossia la longa manus del ministro o governo più grosso, il quale insegni od ordini il modo di sbrigare le faccende proprie dei ministri più piccoli. Così pure si usa governare in Inghilterra, con altre formule di parrocchie, borghi, città, contee, regni e principati; così si fa negli Stati Uniti, nelle federazioni canadese, sudafricana, australiana e nella Nuova Zelanda. Nei paesi dove la democrazia non è una vana parola, la gente sbriga da sé le proprie faccende locali (che negli Stati Uniti si dicono anche statali), senza attendere il la od il permesso dal governo centrale. Così si forma una classe politica numerosa, scelta per via di vagli ripetuti. Non è certo che il vaglio funzioni sempre a perfezione; ma prima di arrivare ad essere consigliere federale o nazionale in Svizzera, o di essere senatore o rappresentante nel congresso nord americano, bisogna essersi fatto conoscere per cariche coperte nei cantoni o negli stati; ed essersi guadagnato una qualche fama di esperto ed onesto amministratore. La classe politica non si forma da sé né è creata dal fiat di una elezione generale. Ma si costituisce lentamente dal basso; per scelta fatta da gente che conosce personalmente le persone alle quali delega la amministrazione delle cose locali piccole; e via via quelle delle cose nazionali od inter-statali più grosse.</span></p>
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<span face="">La classe politica non si forma tuttavia se l'eletto ad amministrare le cose municipali o provinciali o regionali non e pienamente responsabile per l'opera propria. Se qualcuno ha il potere di dare a lui ordini o di annullare il suo operato, l'eletto non è responsabile e non impara ad amministrare. Impara ad ubbidire, intrigare, a raccomandare, a cercare appoggi. Dove non esiste il governo di se stessi e delle cose proprie, in che consiste la democrazia? Finché esisterà in Italia il prefetto, la deliberazione e l'attuazione non spetteranno al consiglio municipale ed al sindaco, al consiglio provinciale ed al presidente; ma sempre e soltanto al governo centrale, a Roma; o, per parlar più concretamente, al ministro dell'interno. Costui è il vero padrone della vita amministrativa e politica dell'intero stato. Attraverso i suoi organi distaccati, le prefetture, il governo centrale approva o non approva i bilanci comunali e provinciali, ordina l'iscrizione di spese di cui i cittadini farebbero a meno, cancella altre spese, ritarda l'approvazione ed intralcia il funzionamento dei corpi locali. Chi governa localmente di fatto non è né il sindaco né il consiglio comunale o provinciale; ma il segretario municipale o provinciale. Non a caso egli è stato oramai attruppato tra i funzionari statali. Parve un sopruso della dittatura ed era la logica necessaria deduzione del sistema centralistico. Chi, se non un funzionario statale, può interpretare ed eseguire le leggi, i regolamenti, le circolari, i moduli i quali quotidianamente, attraverso le prefetture, arrivano a fasci da Roma per ordinare il modo di governare ogni più piccola faccenda locale? Se talun cittadino si informa del modo di sbrigare una pratica dipendente da una legge nuova, la risposta è : non sono ancora arrivate le istruzioni, non è ancora compilato il regolamento; lo si aspetta di giorno in giorno. A nessuno viene in mente del ministero, l' idea semplice che l'eletto locale ha il diritto e il dovere di interpretare lui la legge, salvo a rispondere dinnanzi agli elettori della interpretazione data? Che cosa fu e che cosa tornerà ad essere l'eletto del popolo in uno stato burocratico accentrato? Non un legislatore, non un amministratore; ma un tale, il cui ufficio principale è essere bene introdotto nei capoluoghi di provincia presso prefetti, , consiglieri e segretari di prefettura, provveditori agli studi, intendenti di finanza, ed a Roma, presso i ministri, sotto-segretari di stato e, meglio e più, perché di fatto più potenti, presso direttori generali, capidivisione, segretari, vice-segretari ed uscieri dei ministeri. Il malvezzo di non muovere la « pratica » senza una spinta, una raccomandazione non è recente né ha origine dal fascismo. È antico ed è proprio del sistema. Come quel ministro francese, guardando l'orologio, diceva: a quest'ora, nella terza classe di tutti i licei di Francia, i professori spiegano la tal pagina di Cicerone; così si può dire di tutti gli ordini di scuole italiane. Pubbliche o private, elementari o medie od universitarie, tutto dipende da Roma: ordinamento, orari, tasse, nomine degli insegnanti, degli impiegati di segreteria, dei portieri e dei bidelli, ammissioni degli studenti, libri di testo, ordine degli esami, materie insegnate. I fascisti concessero per scherno l'autonomia alle università; ma era logico che nel sistema accentrato le università fossero, come subito ridiventarono, una branca ordinaria dell'amministrazione pubblica; ed era logico che prima del 1922 i deputati elevassero querele contro quelle che essi imprudentemente chiamarono le camorre dei professori di università, i quali erano riusciti, in mezzo secolo di sforzi perseveranti e di costumi anti-accentratori a poco a poco originati dal loro spirito di corpo, a togliere ai ministri ogni potere di scegliere e di trasferire gli insegnanti universitari e quindi ogni possibilità ai deputati di raccomandare e promuovere intriganti politici a cattedre. Agli occhi di un deputato uscito dal suffragio universale ed investito di una frazione della sovranità popolare, ogni resistenza di corpi autonomi, di enti locali, di sindaci decisi a valere la volontà dei loro amministrati appariva camorra, o sopruso, privilegio. La tirannia del centro, la onnipotenza del ministero, attraverso ai prefetti, si converte nella tirannia degli eletti al parlamento. Essi sanno di essere i ministri del domani, sanno che chi di loro diventerà ministro dell'interno, disporrà della leva di comando del paese; sanno che nessun presidente del consiglio può rinunciare ad essere ministro dell'interno se non vuol correre il pericolo di vedere « farsi » le elezioni contro lui dal collega al quale egli abbia avuto la dabbenaggine di abbandonare quel ministero, il quale dispone delle prefetture, delle questure e dei carabinieri; il quale comanda a centinaia di migliaia di funzionari piccoli e grossi, ed attraverso concessioni di sussidi, autorizzazioni di spese, favori di ogni specie adesca e minaccia sindaci, consiglieri, presidenti di opere pie e di enti morali. A volta a volta servo e tiranno dei funzionari che egli ha contribuito a far nominare con le sue raccomandazioni e dalla cui condiscendenza dipende l'esito delle pratiche dei suoi elettori, il deputato diventa un galoppino, il cui tempo più che dai lavori parlamentari è assorbito dalle corse per i ministeri e dallo scrivere lettere di raccomandazione per il sollecito disbrigo delle pratiche dei suoi elettori.</span></p>
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<span face="">Perciò il delenda Carthago della democrazia liberale è : Via il prefetto! Via con tutti i suoi uffici e le sue dipendenze e le sue ramificazioni! Nulla deve più essere lasciato in piedi di questa macchina centralizzata; nemmeno lo stambugio del portiere. Se lasciamo sopravvivere il portiere, presto accanto a lui sorgerà una fungaia di baracche e di capanne che si trasformeranno nel vecchio aduggiante palazzo del governo. Il prefetto napoleonico se ne deve andare, con le radici, il tronco, i rami e le fronde. Per fortuna, di fatto oggi in Italia l'amministrazione centralizzata è scomparsa. Ha dimostrato di essere il nulla; uno strumento privo di vita propria, del quale il primo avventuriero capitato a buon tiro poteva impadronirsi per manovrarlo a suo piacimento. Non accadrà alcun male, se non ricostruiremo la macchina oramai guasta e marcia. L'unità del paese non è data dai prefetti e dai provveditori agli studi e dagli intendenti di finanza e dai segretari comunali e dalle circolari ed istruzioni ed autorizzazioni romane. L'unità del paese è fatta dagli italiani. Dagli italiani, i quali imparino, a proprie spese, commettendo spropositi, a governarsi da sé. La vera costituente non si fa in una elezione plebiscitaria, a fin di guerra. Così si creano o si ricostituiscono le tirannie, siano esse di dittatori o di comitati di partiti. Chi vuole affidare il paese a qualche altro saltimbanco, lasci sopravvivere la macchina accentrata e faccia da questa e dai comitati eleggere una costituente. Chi vuole che gli italiani governino se stessi, faccia invece subito eleggere i consigli municipali, unico corpo rimasto in vita, almeno come aspirazione profondamente sentita da tutti i cittadini; e dia agli eletti il potere di amministrare liberamente; di far bene e farsi rinnovare il mandato, di far male e farsi lapidare. Non si tema che i malversatori del denaro pubblico non paghino il fio, quando non possano scaricare su altri, sulla autorità tutoria, suI governo la colpa delle proprie malefatte. La classe politica si forma così : col provare e riprovare, attraverso a fallimenti ed a successi. Sia che si conservi la provincia; sia che invece la si abolisca, perché ente artificioso, antistorico ed anti-economico e la si costituisca da una parte con il distretto o collegio o vicinanza, unità più piccola, raggruppata attorno alla cittadina, al grosso borgo di mercato, dove convengono naturalmente per i loro interessi ed affari gli abitanti dei comuni dei dintorni, e dall'altra con la grande regione storica: Piemonte, Liguria, Lombardia, ecc. ; sempre, alla pari del comune, il collegio e la regione dovranno amministrarsi da sé, formarsi i propri governanti elettivi, liberi di gestire le faccende proprie del comune, del collegio e della provincia, liberi di scegliere i propri funzionari e dipendenti, nel modo e con le garanzie che essi medesimi, legislatori sovrani nel loro campo, vorranno stabilire.</span></p>
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<span face="">Si potrà discutere sui compiti da attribuire a questo o quell'altro ente sovrano; ed adopero a bella posta la parola sovranità e non autonomia, ad indicare che non solo nel campo internazionale, con la creazione di vincoli federativi, ma anche nel campo nazionale, con la creazione di corpi locali vivi di vita propria originaria non derivata dall'alto, urge distruggere l'idea funesta della sovranità assoluta dello stato. Non temasi dalla distruzione alcun danno per l'unità nazionale. L'accentramento napoleonico ha fatto le sue prove e queste sono state negative: una burocrazia pronta ad ubbidire ad ogni padrone, non radicata nel luogo, indifferente alle sorti degli amministrati; un ceto politico oggetto di dispregio, abbassato a cursore di anticamere prefettizie e ministeriali, prono a votare in favore di qualunque governo, se il voto poteva giovare ad accaparrare il favore della burocrazia poliziesca ed a premere sulle autorità locali nel giorno delle elezioni generali; una polizia, non collegata, come dovrebbe, esclusivamente con la magistratura inquirente e giudicante e con i carabinieri, ma divenuta strumento di inquisizione politica e di giustizia « economica » , ossia arbitraria. L'arbitrio poliziesco erasi affievolito all'inizio del secolo; ma lo strumento era pronto; e, come già con Napoleone, ricominciarono a giungere al dittatore i rapporti quotidiani della polizia sugli atti e sui propositi di ogni cittadino sospetto; e si potranno di nuovo comporre, con quei fogli, se non li hanno bruciati prima, volumi di piccola e di grande storia di interesse appassionante. E quello strumento, pur guasto, è pronto, se non lo faremo diventare mero organo della giustizia per la prevenzione dei reati e la scoperta dei loro autori, a servire nuovi tiranni e nuovi comitati di salute pubblica.</span></p>
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<span face="">Che cosa ha dato all'unità d'Italia quella armatura dello stato di polizia, preesistente, ricordiamolo bene, al 1922? Nulla. Nel momento del pericolo è svanita e sono rimasti i cittadini inermi e soli. Oggi essi si attruppano in bande di amici, di conoscenti, di borghigiani; e li chiamano partigiani. È lo stato il quale si rifà spontaneamente. Lasciamolo riformarsi dal basso, come è sua natura. Riconosciamo che nessun vincolo dura, nessuna unità è salda, se prima gli uomini i quali si conoscono ad uno ad uno non hanno costituito il comune; e di qui, risalendo di grado in grado, sino allo stato. La distruzione della sovrastruttura napoleonica, che gli italiani non hanno amato mai, offre l'occasione unica di ricostruire lo stato partendo dalle unità che tutti conosciamo ed amiamo; e sono la famiglia, il comune, la vicinanza e la regione. Così possederemo finalmente uno stato vero e vivente.</span></p>
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<span face="">(« L'Italia e il secondo risorgimento », supplemento alla Gazzetta ticinese, 17 Iuglio 1944, a firma Junius.)</span><br />
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<strong>Luigi Einaudi</strong></p>
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Via il Prefetto !<br />
(1944)</p>
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<u>Nota</u><br />
Luigi Einaudi analizza la realtà accentratrice dello stato italiano, modellato (in versione corretta e peggiorata) su quello francese, e propone l'abolizione dei prefetti. Un provvedimento indispensabile che i "rivoluzionari" di casa nostra non hanno mai preso in considerazione.</p>
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Proporre, in Italia ed in qualche altro paese di Europa, di abolire il « prefetto » sembra stravaganza degna di manicomio. Istituzione veneranda, venuta a noi dalla notte dei tempi, il prefetto è quasi sinonimo di governo e, lui scomparso, sembra non esistere più nulla. Chi comanda e chi esegue fuor dalla capitale? Come opera l'amministrazione pubblica? In verità, il prefetto è una lue che fu inoculata nel corpo politico italiano da Napoleone. Gli antichi governi erano, prima della rivoluzione francese, assoluti solo di nome, e di fatto vincolati d'ogni parte, dai senati e dalle camere dei conti o magistrati camerali, gelosissimi del loro potere di rifiutare la registrazione degli editti che, se non registrati, non contavano nulla, dai corpi locali privilegiati, auto-eletti per cooptazione dei membri in carica, dai patti antichi di infeudazione, di dedizione e di annessione, dalle consuetudini immemorabili. Gli stati italiani governavano entro i limiti posti dalle « libertà » locali, territoriali e professionali. Spesso « le libertà » municipali e regionali erano « privilegi » di ceti, di nobili, di corporazioni artigiane ed erano dannose all'universale. Nella furia di strappare i privilegi, la rivoluzione francese distrusse, continuando l'opera iniziata dai Borboni, le libertà locali; e Napoleone, dittatore all'interno, amante dell'ordine, sospettoso, come tutti i tiranni, di ogni forza indipendente, spirituale o temporale, perfezionò l'opera. I governi restaurati trovarono comodo di non restaurare, se non di nome, gli antichi corpi limitatori e conservarono il prefetto napoleonico. L'Italia nuova, preoccupata di rinsaldare le membra disiecta degli antichi ex-stati in un corpo unico, immaginò che il federalismo fosse il nemico ed estese il sistema prefettizio anche a quelle parti d'ltalia, come le province ex-austriache, nelle quali la lue erasi infiltrata con manifestazioni attenuate. Si credette di instaurare libertà e democrazia e si foggiò lo strumento della dittatura.</p>
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<span face="">Democrazia e prefetto repugnano profondamente l'una all'altro. Né in ltalia, né in Francia, né in Spagna, né in Prussia si ebbe mai e non si avrà mai democrazia, finché esisterà il tipo di governo accentrato, del quale è simbolo il prefetto. Coloro i quali parlano di democrazia e di costituente e di volontà popolare e di autodecisione e non si accorgono del prefetto, non sanno quel che si dicono. Elezioni, libertà di scelta dei rappresentanti, camere, parlamenti, costituenti, ministri responsabili sono una lugubre farsa nei paesi a governo accentrato del tipo napoleonico. Gli uomini di stato anglo-sassoni, i quali invitano i popoli europei a scegliersi la forma di governo da essi preferita, trasportano inconsciamente parole e pensieri propri dei loro paesi a paesi nei quali le medesime parole hanno un significato del tutto diverso. Forse i soli europei del continente, i quali sentendo quelle parole le intendono nel loro significato vero sono, insieme con gli scandinavi, gli svizzeri; e questi non hanno nulla da imparare, perché quelle parole sentono profondamente da sette secoli. Essi sanno che la democrazia comincia dal comune, che è cosa dei cittadini, i quali non solo eleggono i loro consiglieri e sindaci o presidenti o borgomastri, ma da sé, senza intervento e tutela e comando di gente posta fuori del comune od a questo sovrapposta, se lo amministrano, se lo mandano in malora o lo fanno prosperare. L'auto-governo continua nel cantone, il quale e un vero stato, il quale da sé si fa le sue leggi, se le vota nel suo parlamento e le applica per mezzo dei propri consiglieri di stato, senza uopo di ottenere approvazioni da Berna; e Berna, ossia il governo federale, a sua volta, per le cose di sua competenza, ha un parlamento per deliberare le leggi sue proprie ed un consiglio federale per applicarle ed amministrarle. E tutti questi consessi ed i 25 cantoni e mezzi cantoni e la confederazione hanno così numerosissimi legislatori e centinaia di ministri, grossi e piccoli, tutti eletti, ognuno dei quali attende alle cose proprie, senza vedersi mai tra i piedi il prefetto, ossia la longa manus del ministro o governo più grosso, il quale insegni od ordini il modo di sbrigare le faccende proprie dei ministri più piccoli. Così pure si usa governare in Inghilterra, con altre formule di parrocchie, borghi, città, contee, regni e principati; così si fa negli Stati Uniti, nelle federazioni canadese, sudafricana, australiana e nella Nuova Zelanda. Nei paesi dove la democrazia non è una vana parola, la gente sbriga da sé le proprie faccende locali (che negli Stati Uniti si dicono anche statali), senza attendere il la od il permesso dal governo centrale. Così si forma una classe politica numerosa, scelta per via di vagli ripetuti. Non è certo che il vaglio funzioni sempre a perfezione; ma prima di arrivare ad essere consigliere federale o nazionale in Svizzera, o di essere senatore o rappresentante nel congresso nord americano, bisogna essersi fatto conoscere per cariche coperte nei cantoni o negli stati; ed essersi guadagnato una qualche fama di esperto ed onesto amministratore. La classe politica non si forma da sé né è creata dal fiat di una elezione generale. Ma si costituisce lentamente dal basso; per scelta fatta da gente che conosce personalmente le persone alle quali delega la amministrazione delle cose locali piccole; e via via quelle delle cose nazionali od inter-statali più grosse.</span></p>
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<span face="">La classe politica non si forma tuttavia se l'eletto ad amministrare le cose municipali o provinciali o regionali non e pienamente responsabile per l'opera propria. Se qualcuno ha il potere di dare a lui ordini o di annullare il suo operato, l'eletto non è responsabile e non impara ad amministrare. Impara ad ubbidire, intrigare, a raccomandare, a cercare appoggi. Dove non esiste il governo di se stessi e delle cose proprie, in che consiste la democrazia? Finché esisterà in Italia il prefetto, la deliberazione e l'attuazione non spetteranno al consiglio municipale ed al sindaco, al consiglio provinciale ed al presidente; ma sempre e soltanto al governo centrale, a Roma; o, per parlar più concretamente, al ministro dell'interno. Costui è il vero padrone della vita amministrativa e politica dell'intero stato. Attraverso i suoi organi distaccati, le prefetture, il governo centrale approva o non approva i bilanci comunali e provinciali, ordina l'iscrizione di spese di cui i cittadini farebbero a meno, cancella altre spese, ritarda l'approvazione ed intralcia il funzionamento dei corpi locali. Chi governa localmente di fatto non è né il sindaco né il consiglio comunale o provinciale; ma il segretario municipale o provinciale. Non a caso egli è stato oramai attruppato tra i funzionari statali. Parve un sopruso della dittatura ed era la logica necessaria deduzione del sistema centralistico. Chi, se non un funzionario statale, può interpretare ed eseguire le leggi, i regolamenti, le circolari, i moduli i quali quotidianamente, attraverso le prefetture, arrivano a fasci da Roma per ordinare il modo di governare ogni più piccola faccenda locale? Se talun cittadino si informa del modo di sbrigare una pratica dipendente da una legge nuova, la risposta è : non sono ancora arrivate le istruzioni, non è ancora compilato il regolamento; lo si aspetta di giorno in giorno. A nessuno viene in mente del ministero, l' idea semplice che l'eletto locale ha il diritto e il dovere di interpretare lui la legge, salvo a rispondere dinnanzi agli elettori della interpretazione data? Che cosa fu e che cosa tornerà ad essere l'eletto del popolo in uno stato burocratico accentrato? Non un legislatore, non un amministratore; ma un tale, il cui ufficio principale è essere bene introdotto nei capoluoghi di provincia presso prefetti, , consiglieri e segretari di prefettura, provveditori agli studi, intendenti di finanza, ed a Roma, presso i ministri, sotto-segretari di stato e, meglio e più, perché di fatto più potenti, presso direttori generali, capidivisione, segretari, vice-segretari ed uscieri dei ministeri. Il malvezzo di non muovere la « pratica » senza una spinta, una raccomandazione non è recente né ha origine dal fascismo. È antico ed è proprio del sistema. Come quel ministro francese, guardando l'orologio, diceva: a quest'ora, nella terza classe di tutti i licei di Francia, i professori spiegano la tal pagina di Cicerone; così si può dire di tutti gli ordini di scuole italiane. Pubbliche o private, elementari o medie od universitarie, tutto dipende da Roma: ordinamento, orari, tasse, nomine degli insegnanti, degli impiegati di segreteria, dei portieri e dei bidelli, ammissioni degli studenti, libri di testo, ordine degli esami, materie insegnate. I fascisti concessero per scherno l'autonomia alle università; ma era logico che nel sistema accentrato le università fossero, come subito ridiventarono, una branca ordinaria dell'amministrazione pubblica; ed era logico che prima del 1922 i deputati elevassero querele contro quelle che essi imprudentemente chiamarono le camorre dei professori di università, i quali erano riusciti, in mezzo secolo di sforzi perseveranti e di costumi anti-accentratori a poco a poco originati dal loro spirito di corpo, a togliere ai ministri ogni potere di scegliere e di trasferire gli insegnanti universitari e quindi ogni possibilità ai deputati di raccomandare e promuovere intriganti politici a cattedre. Agli occhi di un deputato uscito dal suffragio universale ed investito di una frazione della sovranità popolare, ogni resistenza di corpi autonomi, di enti locali, di sindaci decisi a valere la volontà dei loro amministrati appariva camorra, o sopruso, privilegio. La tirannia del centro, la onnipotenza del ministero, attraverso ai prefetti, si converte nella tirannia degli eletti al parlamento. Essi sanno di essere i ministri del domani, sanno che chi di loro diventerà ministro dell'interno, disporrà della leva di comando del paese; sanno che nessun presidente del consiglio può rinunciare ad essere ministro dell'interno se non vuol correre il pericolo di vedere « farsi » le elezioni contro lui dal collega al quale egli abbia avuto la dabbenaggine di abbandonare quel ministero, il quale dispone delle prefetture, delle questure e dei carabinieri; il quale comanda a centinaia di migliaia di funzionari piccoli e grossi, ed attraverso concessioni di sussidi, autorizzazioni di spese, favori di ogni specie adesca e minaccia sindaci, consiglieri, presidenti di opere pie e di enti morali. A volta a volta servo e tiranno dei funzionari che egli ha contribuito a far nominare con le sue raccomandazioni e dalla cui condiscendenza dipende l'esito delle pratiche dei suoi elettori, il deputato diventa un galoppino, il cui tempo più che dai lavori parlamentari è assorbito dalle corse per i ministeri e dallo scrivere lettere di raccomandazione per il sollecito disbrigo delle pratiche dei suoi elettori.</span></p>
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<span face="">Perciò il delenda Carthago della democrazia liberale è : Via il prefetto! Via con tutti i suoi uffici e le sue dipendenze e le sue ramificazioni! Nulla deve più essere lasciato in piedi di questa macchina centralizzata; nemmeno lo stambugio del portiere. Se lasciamo sopravvivere il portiere, presto accanto a lui sorgerà una fungaia di baracche e di capanne che si trasformeranno nel vecchio aduggiante palazzo del governo. Il prefetto napoleonico se ne deve andare, con le radici, il tronco, i rami e le fronde. Per fortuna, di fatto oggi in Italia l'amministrazione centralizzata è scomparsa. Ha dimostrato di essere il nulla; uno strumento privo di vita propria, del quale il primo avventuriero capitato a buon tiro poteva impadronirsi per manovrarlo a suo piacimento. Non accadrà alcun male, se non ricostruiremo la macchina oramai guasta e marcia. L'unità del paese non è data dai prefetti e dai provveditori agli studi e dagli intendenti di finanza e dai segretari comunali e dalle circolari ed istruzioni ed autorizzazioni romane. L'unità del paese è fatta dagli italiani. Dagli italiani, i quali imparino, a proprie spese, commettendo spropositi, a governarsi da sé. La vera costituente non si fa in una elezione plebiscitaria, a fin di guerra. Così si creano o si ricostituiscono le tirannie, siano esse di dittatori o di comitati di partiti. Chi vuole affidare il paese a qualche altro saltimbanco, lasci sopravvivere la macchina accentrata e faccia da questa e dai comitati eleggere una costituente. Chi vuole che gli italiani governino se stessi, faccia invece subito eleggere i consigli municipali, unico corpo rimasto in vita, almeno come aspirazione profondamente sentita da tutti i cittadini; e dia agli eletti il potere di amministrare liberamente; di far bene e farsi rinnovare il mandato, di far male e farsi lapidare. Non si tema che i malversatori del denaro pubblico non paghino il fio, quando non possano scaricare su altri, sulla autorità tutoria, suI governo la colpa delle proprie malefatte. La classe politica si forma così : col provare e riprovare, attraverso a fallimenti ed a successi. Sia che si conservi la provincia; sia che invece la si abolisca, perché ente artificioso, antistorico ed anti-economico e la si costituisca da una parte con il distretto o collegio o vicinanza, unità più piccola, raggruppata attorno alla cittadina, al grosso borgo di mercato, dove convengono naturalmente per i loro interessi ed affari gli abitanti dei comuni dei dintorni, e dall'altra con la grande regione storica: Piemonte, Liguria, Lombardia, ecc. ; sempre, alla pari del comune, il collegio e la regione dovranno amministrarsi da sé, formarsi i propri governanti elettivi, liberi di gestire le faccende proprie del comune, del collegio e della provincia, liberi di scegliere i propri funzionari e dipendenti, nel modo e con le garanzie che essi medesimi, legislatori sovrani nel loro campo, vorranno stabilire.</span></p>
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<span face="">Si potrà discutere sui compiti da attribuire a questo o quell'altro ente sovrano; ed adopero a bella posta la parola sovranità e non autonomia, ad indicare che non solo nel campo internazionale, con la creazione di vincoli federativi, ma anche nel campo nazionale, con la creazione di corpi locali vivi di vita propria originaria non derivata dall'alto, urge distruggere l'idea funesta della sovranità assoluta dello stato. Non temasi dalla distruzione alcun danno per l'unità nazionale. L'accentramento napoleonico ha fatto le sue prove e queste sono state negative: una burocrazia pronta ad ubbidire ad ogni padrone, non radicata nel luogo, indifferente alle sorti degli amministrati; un ceto politico oggetto di dispregio, abbassato a cursore di anticamere prefettizie e ministeriali, prono a votare in favore di qualunque governo, se il voto poteva giovare ad accaparrare il favore della burocrazia poliziesca ed a premere sulle autorità locali nel giorno delle elezioni generali; una polizia, non collegata, come dovrebbe, esclusivamente con la magistratura inquirente e giudicante e con i carabinieri, ma divenuta strumento di inquisizione politica e di giustizia « economica » , ossia arbitraria. L'arbitrio poliziesco erasi affievolito all'inizio del secolo; ma lo strumento era pronto; e, come già con Napoleone, ricominciarono a giungere al dittatore i rapporti quotidiani della polizia sugli atti e sui propositi di ogni cittadino sospetto; e si potranno di nuovo comporre, con quei fogli, se non li hanno bruciati prima, volumi di piccola e di grande storia di interesse appassionante. E quello strumento, pur guasto, è pronto, se non lo faremo diventare mero organo della giustizia per la prevenzione dei reati e la scoperta dei loro autori, a servire nuovi tiranni e nuovi comitati di salute pubblica.</span></p>
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<span face="">Che cosa ha dato all'unità d'Italia quella armatura dello stato di polizia, preesistente, ricordiamolo bene, al 1922? Nulla. Nel momento del pericolo è svanita e sono rimasti i cittadini inermi e soli. Oggi essi si attruppano in bande di amici, di conoscenti, di borghigiani; e li chiamano partigiani. È lo stato il quale si rifà spontaneamente. Lasciamolo riformarsi dal basso, come è sua natura. Riconosciamo che nessun vincolo dura, nessuna unità è salda, se prima gli uomini i quali si conoscono ad uno ad uno non hanno costituito il comune; e di qui, risalendo di grado in grado, sino allo stato. La distruzione della sovrastruttura napoleonica, che gli italiani non hanno amato mai, offre l'occasione unica di ricostruire lo stato partendo dalle unità che tutti conosciamo ed amiamo; e sono la famiglia, il comune, la vicinanza e la regione. Così possederemo finalmente uno stato vero e vivente.</span></p>
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<span face="">(« L'Italia e il secondo risorgimento », supplemento alla Gazzetta ticinese, 17 Iuglio 1944, a firma Junius.)</span><br />
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26 aprile2011-04-26T13:28:03+00:002011-04-26T13:28:03+00:00http://giancarlopagliarini.it/index.phpx/diario/se-femm-incoeu/257-26-aprileCarlavartanush@gmail.com<p style="text-align: justify">
Questa sera si discute del cosiddetto "federalismo fiscale" a Cesate, in via Cesare Battisti,nella sala dell'oratorio S Alessandro. L'incontro è organizzato dal Centra Democratico Cesatese . Roberto Vumbaca del CDC sarà il moderatore e le relazioni saranno del "vecchio Paglia" e del bravissimo Enrico Marcora, consigliere regionale dell'UDC (nessuno è perfetto...). Il tema è "come cambia la finanza negli enti locali". Il problema è che purtroppo non cambia assolutamente niente. Con questa legge (che non c'entra niente di niente col federalismo) gli enti locali incasseranno quelche euro in più e lo Stato gli trasferirà qualche euro in meno. La somma algebrica farà zero o giù di lì. La parola ripetuta più spesso nella legge delega (la n 42 del Maggio 2009) è la parola "perequazione", ripetuta più di 40 volte, le ho contate!</p>
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Paglia</p>
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<a href="images/incontripubblici/copetina della dispensa per cesate aprile 26.jpg">Ecco il programma</a></p>
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Questa sera si discute del cosiddetto "federalismo fiscale" a Cesate, in via Cesare Battisti,nella sala dell'oratorio S Alessandro. L'incontro è organizzato dal Centra Democratico Cesatese . Roberto Vumbaca del CDC sarà il moderatore e le relazioni saranno del "vecchio Paglia" e del bravissimo Enrico Marcora, consigliere regionale dell'UDC (nessuno è perfetto...). Il tema è "come cambia la finanza negli enti locali". Il problema è che purtroppo non cambia assolutamente niente. Con questa legge (che non c'entra niente di niente col federalismo) gli enti locali incasseranno quelche euro in più e lo Stato gli trasferirà qualche euro in meno. La somma algebrica farà zero o giù di lì. La parola ripetuta più spesso nella legge delega (la n 42 del Maggio 2009) è la parola "perequazione", ripetuta più di 40 volte, le ho contate!</p>
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<a href="images/incontripubblici/copetina della dispensa per cesate aprile 26.jpg">Ecco il programma</a></p>
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