La previsione di Paolo Baffi

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Il 16 febbraio 07 è stato presentato a Bologna l’ “Index of Economic Freedom”, la classifica delle libertà economiche elaborata dalla Heritage Foundation di Washington.

Quello della Heritage, che  ho avuto l’opportunità di presentare per la prima volta in Italia nel 2003 in un convegno organizzato dagli amici dell’Istituto Bruno Leoni,è uno dei due indici di libertà economica che vengono pubblicati ogni anno. L’altro è quello  del “Fraser Institute” di Vancouver, nella British Columbia. 

Nella prefazione di Tito Tettamanti all’edizione italiana 2003  c’era scritto, che “Uno dei pregi di questo lavoro è quello di mostrare all’opinione pubblica internazionale un dato elementare eppure sottovalutato: l’esistenza di una relazione significativa ed empiricamente accertabile tra la libertà economica di ogni paese e il suo livello di prosperità”.

Nel nostro paese purtroppo quel “dato elementare” non fa più parte della coscienza collettiva.

La “Heritage Foundation” è stata fondata nel 1973. con la  “missione” di formulare e promuovere politiche basate sul principio della libera impresa, della limitata presenza del pubblico e della libertà individuale. Per promuovere la libertà si deve dimostrare che la libertà funziona: ecco perché 14 anni fa è nato,  l’ index of economic freedom.

Nell’index della Heritage del 2003 l’Italia era 26esima su 155, mentre quest’anno il nostro paese è rotolato al sessantesimo posto su 157 paesi presi in esame. In libertà economica siamo lontani anni luce dalla maggior parte dei nostri concittadini UE e i nostri compagni di viaggio ormai sono Perù, Bulgaria e Madagascar, che hanno un punteggio (vedi “Lezione di economia N° 105” su www.giancarlopagliarini.it) di poco inferiore al nostro,  e Namibia, Belize, Slovenia e Kuwait  i cui parametri sono invece leggermente migliori dei nostri. Questo è il desolante quadro che emerge dal rapporto 2007.

La crescita economica  è uno dei mezzi e non il fine. David Cameron, classe 1966,  il leader dei conservatori inglesi, dichiara che“E’ tempo di ammettere che nella vita c’è molto di più del denaro. Ed è anche tempo di focalizzare l’attenzione non solo sul prodotto interno lordo, ma sul benessere generale degli abitanti di una nazione”, e nel programma elettorale dell’Unione per le elezioni dell’Aprile 06 si legge: “Infine, concordiamo sulla necessità di ampliare il sistema degli indicatori di economici in modo da tenere conto anche di parametri fondamentali per misurare la qualità della vita e dell’ambiente, attraverso l'adozione dell'Indice di Sviluppo Umano (vedi “Lezioni di economia” N° 93)che alla misurazione della crescita economica attraverso il PIL affianca la valutazione del livello delle prestazioni sanitarie e del livello d’istruzione” (Nel programma dell’Unione lo trovate nel capitolo “Reagire al declino”, a  pag 116)

Tutto giusto, per carità, ma resta il fatto che ogni giorno che passa il nostro paese diventa più povero, meno competitivo, sempre più persone non guadagnano abbastanza per arrivare alla fine del mese, le famiglie sono sempre più indebitate e la qualità della vita degli italiani peggiora continuamente. E la “colpa” non è certamente dell’Euro. Servono riforme, cultura e coraggio. Serve meno Stato e più responsabilità. Ma  la politica italiana sembra non rendersene conto e continua  a dare il cattivo esempio con liti irrazionali e senza il coraggio di proposte che abbiano caratteristiche pratiche, concrete e realizzabili.

In una delle sue ultime lettere (1989)  Paolo Baffi scriveva a Carlo Azeglio Ciampi, che nel 1979 lo aveva sostituito alla guida della banca d’Italia,  che “sarà forse uno scossone violento quello che sveglierà il Paese dal suo torpore”.

Nel 1992 ci siamo andati vicini. Ricordate?  Mentre si portavano in tribunale i libri dell’EFIM in bancarotta, l’IRI per pagare gli stipendi aveva dovuto indebitarsi al 26% e, sempre per pagare gli stipendi,  lo Stato aveva dovuto fare un’incursione dentro ai nostri conti correnti.

Ebbene, da allora ad oggi le cose sono solo peggiorate. Stipendi e  pensioni sono stati pagati solo grazie alle massicce privatizzazioni, a “geniali” invenzioni di contabilità creativa (come le vergognose “cartolarizzazioni”) e alla straordinaria diminuzione del costo degli interessi passivi sul debito pubblico (grazie all’Euro).  Intanto molti nostri “concittadini del mondo” si sono svegliati, si sono organizzati, si muovono, girano, studiano, scambiano esperienze. Dovremmo esserne contenti. Dovremmo partecipare.  Ma la mia impressione invece è che noi siamo fermi. Ci stiamo chiudendo. Giriamo su noi stessi, i resoconti parlamentari sembrano la cronaca di una giostra impazzita e ci sono membri del parlamento che agli incontri con i cittadini dichiarano con incredibile faccia tosta che la legge elettorale in vigore in realtà è buona e moralizza (!) la politica.

Pochi giorni fa a un lettore che gli aveva scritto del fallimento della “grande coalizione” in Germania, Sergio Romano ha ricordato dalle colonne del Corriere della Sera che  Schroder aveva capito che il mercato unico, la globalizzazione e la delocalizzazione delle imprese costringevano la Germania a rivedere coraggiosamente il suo sistema previdenziale e assistenziale. Che “il cancelliere decise di fare con decisione e chiarezza ciò che il governo italiano vorrebbe fare nell’incertezza e nell’ambiguità”. E che “l’alleanza temporanea tra i due maggiori partiti ha avuto il vantaggio di creare un governo che sembra deciso a proseguire sulla strada delle riforme”. Questo non è un fallimento. Il deficit del nostro sistema previdenziale (assistenza esclusa) continua a costare una quarantina di miliardi di Euro all’anno, finanziati da una delle pressioni fiscali più alte del mondo, ben più alta del 40,5% ufficiale, dato che l’ISTAT, correttamente, include nel PIL anche la stina del “sommerso”. Questo maxi assistenzialismo non consente i necessari investimenti in ricerca, sviluppo, nuove tecnologie e nuovi prodotti ed è una delle cause della nostra continua perdita di competitività.  Ma in omaggio al “dio-voto”  nessuno ha il coraggio di evidenziare questa situazione e la necessità di passare, con la necessaria gradualità ma senza più perdere tempo, dall’irresponsabile sistema a ripartizione  a uno a capitalizzazione. A Montecitorio e al Senato nessuno ricorda che nel rapporto Kok (2003) è previsto che in Italia entro il 2050 l’ “old age dependency ratio” passerà  dal 29% all’insostenibile quota del 61%

Il 22 Dicembre 2006 il Ministero dell’economia e delle finanze ha fatto proprio e pubblicato un documento predisposto dal gruppo di lavoro sul federalismo fiscale  coordinato dal prof Giarda . Niente di straordinario , nessuno strappo, nessuna fuga in avanti  ma solo buon senso applicato con cautela. La proposta  è questa: nel finanziamento delle Regioni e degli enti locali dimentichiamo il principio del costo storico ma identifichiamo i costi standard per i vari servizi ai cittadini, inclusa la sanità e cominciamo ad applicarli seriamente.

Con i “costi storici”  succede che  chi ha più speso in passato più riceve. Per esempio se vent’anni fa un comune era in dissesto e lo Stato era intervenuto diciamo con 100, per coprire il “buco”,  l’anno dopo e per tutti gli anni successivi, in omaggio al principio del costo storico,  lo Stato trasferiva 100 più l’inflazione anche se non c’era più nessun “buco” da coprire. La proposta razionale è 1) di  eliminare questa situazione assurda, 2) di applicare lo ZBB (zero base budget (vedi la “Lezione di economia” N° 121),  e 3) di effettuare i trasferimenti sulla base di costi standard, che naturalmente tengano conto anche di difficoltà locali. Apriti cielo! Questa è trasparenza. Questa è accountability. Vorrete mica scherzare: noi siamo un paese mediterraneo, non siamo mica anglosassoni.

Qualcuno ha già protestato con  Napolitano, mentre il presidente della regione Calabria il 25 Gennaio 07 ha dichiarato che ''Nella bozza che il governo ci ha presentato c'è una tripartizione di livelli che non convince me e le altre regioni meridionali perché considera i livelli essenziali di assistenza solo riguardo alla Sanita' mentre noi abbiamo anche altri problemi e funzioni che devono essere finanziate”.

Vedremo come andrà a finire, ma io temo che se continuiamo così la profezia di Paolo Baffi si realizzerà molto presto.

 

Giancarlo Pagliarini